Renato D'Agostin è fotografo d'origini veneziane, la passione per la fotografia l'ha portato a trasferirsi nella grande mela da alcuni anni dove lavora. Nei suoi progetti, vengono colte le atmosfere, i momenti, le luci che talvolta sfuggono ma che Renato sviluppa e fissa all'interno della sua camera oscura. Nei suoi progetti racconta i suoi viaggi attraverso la strada, interpretando lo spazio che lo circonda; Tokyo, Venezia e le capitali europee sono solo alcune delle mete in cui D'Agostin ha estratto la fotocamera e sostituito pellicola dopo pellicola.
Renato D'Agostin, iniziando dalle origini, tu sei nato vicino a Venezia, che significato ha per te questa città? Qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono nato a San Dona' di Piave, in provincia di Venezia, 31 anni fa, e da sette anni vivo oltreoceano, a New York, dove ho la mia base operativa, studio e camera oscura.
Venezia per me rappresenta l'inizio della mia fotografia. E' tra le sue calli che ho iniziato ad impressionare le prime pellicole, e dove dopo alcuni anni sono tornato per farne un libro, The Beautiful Clichè, cercando di rivisitare l'immaginario veneziano.
La città lagunare è sempre per me un luogo dove ritrovare il silenzio. Girovagare a Venezia, anche nei momenti di flusso turistico più elevato, è come andare da stage a backstage di un teatro, il che le dona un fascino surreale che mi attira sempre.
La prima volta che ho preso in mano una macchina fotografica con l'intento di farne un mezzo per filtrare interno con esterno è stato il risultato di una serie di eventi che si sono susseguiti all'età di 18 anni, incuriosendo il mio occhio e che, uniti all'alchimia della camera oscura, hanno incuriosito ogni mio altro senso, portandomi a guardare con sensibilità diversa il mondo al di fuori di me.
Che tecnica utilizzi nella tua fotografia? di esso cos'è che ti contraddistingue?
Utilizzo ciò che rappresenta la base della fotografia: pellicola e camera oscura. Questo immagino possa essere qualcosa che porti il mio prodotto fuori dal comune in un mondo governato dal digitale.
Ti sposti molto fra l'Europa (l'Italia e la Francia), l'America (New York e Los Angeles), il Giappone, Cina, Turchia. Cosa porti con te quando lasci ognuno di questi posti e che ruolo hanno per te?
Il viaggio è la dimensione che preferisco. Tutti i miei viaggi sono sempre legati ai miei progetti. Nella fase iniziale solitamente per scattare le fotografie di quel luogo, poi per presentarle. Quello che porto via da questi luoghi è una borsa di pellicole scattate e la fretta e desiderio di svilupparle per vederne il risultato. Poi quando stampo in camera oscura ogni singola immagine selezionata rivivo quello che ho vissuto in quel luogo. Le città che visito sono punti di partenza per un progetto fotografico specifico di quel luogo, dal quale cerco di trarne l'essenza e tradurla in linguaggio visivo.
Tokyo Untitled e Metropolis sono alcuni dei tuoi progetti che si sono trasformati in libri, i cui scatti sono apparsi sulle pareti bianche di gallerie internazionali. Cosa rappresentano questi due progetti nel tuo lavoro?
Metropolis è stata la mia prima pubblicazione. Una serie di immagini scattate durante alcuni viaggi nelle capitali europee alla ricerca della mia passione per la fotografia. E' diventato il catalogo della mia prima mostra a NY alla Leica Gallery.
L'interesse per Tokyo è nato dal mio interessamento per la fotografia giapponese; Volevo vedere come il mio occhio, nato e cresciuto in un ambiente occidentale potesse reagire ad una situazione così diversa. Il risultato è stato uno shock culturale di cui ho cercato nel mio libro di trovarne una trama.
Etna, è l'ultima tua serie di scatti diventata ora un libro. Mi poui spiegare come nasce e cosa contraddistingue questo progetto?
Etna è nato in modo quasi casuale in quanto mi trovavo in Sicilia per un progetto cancellato poco prima che partisse. Affascinato dall'idea del vulcano, mi sono avventurato sul suo nero deserto per un paio d'ore. Ciò che mi ha fatto estrarre la macchina fotografica dalla borsa è stata la luce. Essendo suolo nero, la luce viene riflessa in modo diverso, e in aggiunta ai fumi e alle nubi, tutto viene ovattato in un silenzio che ti porta all'unisono con la natura sotto di te.
E' stato il primo progetto in cui mi sono avvicinato alla natura, e per la prima volta ho lavorato sulla dilatazione degli spazi invece che la compressione, approccio mio solito nello spazio urbano. Etna è diventato un libro, e per la prima volta nella mia produzione è accompagnato da un libretto interno con Sequenza e Fuga a 4,6,8 voci, composizione poetica di Luigi Cerantola, e disco vinile con musica di Claudio Sichel ed esecuzione della poesia del coro MensanaX. Etna diventa quindi un'opera a tre dimensioni unendo fotografia, poesia e musica.
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