Un flash, sogni o ricordi del passato che ricompaiono nella mente; immagini sfocate, non si riesce a metter a fuoco perfettamente ciò che si ha davanti a sé. Enrico Tealdi è pittore italiano, nato a Cuneo nel 1976, nelle sue opere troviamo il richiamo di qualcosa d'impalpabile, storie di affetti, legami, abbandoni, solitudine. L'artista è presente con una personale presso la Galleria Il Segno di Roma, una mostra che racconta e riassume il suo percorso artistico. Ho avuto il piacere di porre ad Enrico Tealdi una serie di domande per addentrarsi attraverso le sue opere.
Enrico Tealdi, qual'è il percorso che l'ha portato a
diventare artista?
Ho cominciato a disegnare e colorare da subito,intorno ai
quattro anni,conservo ancora molti dei miei disegni da bambino. Io ho sempre
vissuto in campagna e la mia è stata una famiglia semplice e modesta, ma
attraversata spesso da terribili vicissitudini che hanno modellato il mio modo
di sentire e rispondere alla vita. Vivevo in campagna e vedevo dipinte sulle
pareti dei cascinali le edicole votive, ancora oggi provo la stessa emozione
quando ne incontro una. Come provo una grande fascinazione verso i luoghi
abbandonati. Spesso da bambino mi imbattevo in ville antiche cadute in
abbandono,con una grande emozione mista a pura adrenalina, attraversavo l’erba
alta per raggiungere gli ingressi e quando riuscivo entravo e guardavo tutte
quelle stanze vuote,con i muri screpolati. Ricordo una villa neogotica
abbandonata da anni, i pavimenti di legno,le vetrate colorate,i soffitti
affrescati e le statue in giardino. Tutto completamente avvolto
nell’abbandono, ma in una sorta di atmosfera sospesa tra ciò che è stato e allo
stesso tempo una sensazione di attesa. Forse è già da allora che ho sempre
subito il fascino di tutto quello che è stato, che non può essere più o non è
mai accaduto. Il tempo, la polvere, la malinconia, i legami con gli oggetti e le persone, la perdita e l'assenza, sono stati
da sempre le corde che muovono il mio lavoro. Tornando alla domanda, il mio è stato un percorso
naturale, disegnare e dipingere è stata come una risposta al mondo che non
sempre è stato tenero. La bellezza è sempre la migliore delle risposte. Poi
crescendo il mio percorso è stato classico: liceo Artistico, Accademia e workshop di studio.
I suo lavori si possono dividere in due filoni, i dipinti e
le installazioni, ma i due segmenti si integrano. Cosa contraddistingue i due
filo di di opere e cosa li rende differenti?
In realtà ogni mia opera può vivere singolarmente, a volte
scelgo formati grandi e altre volte lavoro nel piccolo. Quando propongo un’istallazione scelgo un impianto a
parete, una sorta di accrochage che ricorda le pareti domestiche delle case, ma anche le pareti colme di ex-voto
delle chiese. Questa combinazione di elementi, visivamente, può ricordare la
disposizione delle fotografie in un album di famiglia, che oggi è un oggetto che
non esiste quasi più, ma contiene ancora intatto un fascino e suggestione molto
forti.
Vorrei focalizzarmi sui suoi dipinti, sull'atmosfera che
evocano. Mi può parlare di come nascono e come sceglie i soggetti delle serie?
La mia pittura è un
racconto, io racconto delle storie, o meglio, suggerisco delle immagini che vanno
a solleticare la memoria di chi le osserva. Allora una figura, una giostra, un
elemento del mio repertorio di immagini, diventa come una sorta di eco della
memoria in chi osserva. Smuove lo strato
più profondo della nostra memoria e allora riaffiorano i ricordi più nascosti.
I soggetti sembrano cercarmi loro. Può
sembrare banale, ma è così. Nel mio lavoro desidero far partecipe lo
spettatore, per far sì che quello che è il mio “piccolo mondo”, sia lo sfondo di
coloro che si riconoscono nelle immagini che propongo. Nel mio lavoro è
presente una componente, azzarderei a dire, quasi letteraria. I miei quadri più
che immagini o visioni,sono dei racconti dove ci si può riconoscere, come in uno
specchio. Traduco quello che ho vissuto e percepito vivendo scegliendo di raccontarlo con il mio lavoro.
Spesso dico che in fondo io racconto delle “storie minime”, delle storie che
appartengono a tutti, ma che ognuno ha conservato dentro con filtri della memoria che alle volte sfuggono a noi
stessi . I soggetti che scelgo hanno a che fare col mio vissuto e con le mie
letture che entrano in empatia con la mia persona.
è in corso una sua personale presso la galleria Il Segno di
Roma. Cosa significa per lei questa mostra? che lavori troviamo esposti?
La mia personale che è
in corso a Roma presso la galleria Il
Segno è un momento molto importante del mio lavoro. Sono orgoglioso di essere
stato invitato dalla galleria Il Segno che ha una storia prestigiosa di 50 anni
di attività. Golfo mistico è una parola suggestiva, con la quale si indicata una
struttura architettonica presente nei teatri d’opera dalla seconda metà del
‘700. Con questa parola si indica la fossa a forma di conchiglia che si trova
tra il palco e la platea,dove si dispone l’orchestra. Funge da cassa di
risonanza, ma ha anche una funzione emotiva: il pubblico non vede l’orchestra, ma
sente arrivare una musica da un punto non chiaramente definito e subisce una
sorta di magia,quasi un invito a fare un tuffo in un’ alta dimensione. Così è
la mia mostra, le opere esposte arrivano
come il suono del golfo mistico, toccano le corte della memoria e del cuore, come
una musica lontana che viene a cercare con una carezza o un colpo di lama. I
lavori esposti sono diversi: carte di grandi dimensioni e pezzi piccoli. Il
tempo, la polvere, la malinconia e anche la noncuranza che ha l’uomo verso se
stesso, i legami con gli oggetti e le persone, la perdita e l’assenza, sono le
corde che muovono le opere in mostra .Sono presenti anche una serie di opere composte da immagini pittoriche, racchiuse in cornici bruciate e svelate attraverso vetri dipinti e
grattati. L’osservatore è come invitato ad
avvicinarsi e guardare all’interno per trovare un paesaggio, un
oggetto, un volto. Come delle scatole della memoria, o meglio delle serrature
dove spiare all’interno, ma il riflettere se stessi sulla superficie nera
specchiante del vetro dipinto, coinvolge e rende partecipe l’osservatore che
guarda all’interno di un opera e riconosce qualcosa di se stesso.
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