venerdì 23 maggio 2014

Interview with Enrico Tealdi

 

Un flash, sogni o ricordi del passato che ricompaiono nella mente; immagini sfocate, non si riesce a metter a fuoco perfettamente ciò che si ha davanti a sé. Enrico Tealdi è pittore italiano, nato a Cuneo nel 1976, nelle sue opere troviamo il richiamo di qualcosa d'impalpabile, storie di affetti, legami, abbandoni, solitudine. L'artista è presente con una personale presso la Galleria Il Segno di Roma, una mostra che racconta e riassume il suo percorso artistico. Ho avuto il piacere di porre ad Enrico Tealdi una serie di domande per addentrarsi attraverso le sue opere.


Enrico Tealdi, qual'è il percorso che l'ha portato a diventare artista?

Ho cominciato a disegnare e colorare da subito,intorno ai quattro anni,conservo ancora molti dei miei disegni da bambino. Io ho sempre vissuto in campagna e la mia è stata una famiglia semplice e modesta, ma attraversata spesso da terribili vicissitudini che hanno modellato il mio modo di sentire e rispondere alla vita. Vivevo in campagna e vedevo dipinte sulle pareti dei cascinali le edicole votive, ancora oggi provo la stessa emozione quando ne incontro una. Come provo una grande fascinazione verso i luoghi abbandonati. Spesso da bambino mi imbattevo in ville antiche cadute in abbandono,con una grande emozione mista a pura adrenalina, attraversavo l’erba alta per raggiungere gli ingressi e quando riuscivo entravo e guardavo tutte quelle stanze vuote,con i muri screpolati. Ricordo una villa neogotica abbandonata da anni, i pavimenti di legno,le vetrate colorate,i soffitti affrescati e le statue in giardino. Tutto completamente avvolto nell’abbandono, ma in una sorta di atmosfera sospesa tra ciò che è stato e allo stesso tempo una sensazione di attesa. Forse è già da allora che ho sempre subito il fascino di tutto quello che è stato, che non può essere più o non è mai accaduto. Il tempo, la polvere, la malinconia, i legami con gli oggetti e le persone, la perdita e l'assenza, sono stati da sempre le corde che muovono il mio lavoro. Tornando alla domanda, il mio è stato un percorso naturale, disegnare e dipingere è stata come una risposta al mondo che non sempre è stato tenero. La bellezza è sempre la migliore delle risposte. Poi crescendo il mio percorso è stato classico: liceo Artistico, Accademia e workshop di studio.

I suo lavori si possono dividere in due filoni, i dipinti e le installazioni, ma i due segmenti si integrano. Cosa contraddistingue i due filo di di opere e cosa li rende differenti?

In realtà ogni mia opera può vivere singolarmente, a volte scelgo formati grandi e altre volte lavoro nel piccolo. Quando propongo  un’istallazione scelgo un impianto a parete, una sorta di  accrochage che ricorda le pareti domestiche delle  case, ma anche le pareti colme di ex-voto delle chiese. Questa combinazione di elementi, visivamente, può ricordare la disposizione delle fotografie in un album di famiglia, che oggi è un oggetto che non esiste quasi più, ma contiene ancora intatto un fascino e suggestione molto forti.

Vorrei focalizzarmi sui suoi dipinti, sull'atmosfera che evocano. Mi può parlare di come nascono e come sceglie i soggetti delle serie?

La  mia pittura è un racconto, io racconto delle storie, o meglio, suggerisco delle immagini che vanno a solleticare la memoria di chi le osserva. Allora una figura, una giostra, un elemento del mio repertorio di immagini, diventa come una sorta di eco della memoria in chi  osserva. Smuove lo strato più profondo della nostra memoria e allora riaffiorano i ricordi più nascosti. I soggetti  sembrano cercarmi loro. Può sembrare banale, ma è così. Nel mio lavoro desidero far partecipe lo spettatore, per far sì che quello che è il mio “piccolo mondo”, sia lo sfondo di coloro che si riconoscono nelle immagini che propongo. Nel mio lavoro è presente una componente, azzarderei a dire, quasi letteraria. I miei quadri più che immagini o visioni,sono dei racconti dove ci si può riconoscere, come in uno specchio. Traduco quello che ho vissuto e percepito vivendo  scegliendo di raccontarlo con il mio lavoro. Spesso dico che in fondo io racconto delle “storie minime”, delle storie che appartengono a tutti, ma che ognuno ha conservato dentro con filtri  della memoria che alle volte sfuggono a noi stessi . I soggetti che scelgo hanno a che fare col mio vissuto e con le mie letture che entrano in empatia con la mia persona.

è in corso una sua personale presso la galleria Il Segno di Roma. Cosa significa per lei questa mostra? che lavori troviamo esposti?

La mia personale che è in corso a Roma  presso la galleria Il Segno è un momento molto importante del mio lavoro. Sono orgoglioso di essere stato invitato dalla galleria Il Segno che ha una storia prestigiosa di 50 anni di attività. Golfo mistico è una parola suggestiva, con la quale si indicata una struttura architettonica presente nei teatri d’opera dalla seconda metà del ‘700. Con questa parola si indica la fossa a forma di conchiglia che si trova tra il palco e la platea,dove si dispone l’orchestra. Funge da cassa di risonanza, ma ha anche una funzione emotiva: il pubblico non vede l’orchestra, ma sente arrivare una musica da un punto non chiaramente definito e subisce una sorta di magia,quasi un invito a fare un tuffo in un’ alta dimensione. Così è la mia mostra, le opere esposte arrivano come il suono del golfo mistico, toccano le corte della memoria e del cuore, come una musica lontana che viene a cercare con una carezza o un colpo di lama. I lavori esposti sono diversi: carte di grandi dimensioni e pezzi piccoli. Il tempo, la polvere, la malinconia e anche la noncuranza che ha l’uomo verso se stesso, i legami con gli oggetti e le persone, la perdita e l’assenza, sono le corde che muovono le opere in mostra .Sono presenti anche una serie di  opere composte da immagini pittoriche, racchiuse in cornici bruciate e svelate attraverso vetri dipinti e grattati. L’osservatore è come invitato ad  avvicinarsi e guardare all’interno per trovare un paesaggio, un oggetto, un volto. Come delle scatole della memoria, o meglio delle serrature dove spiare all’interno, ma il riflettere se stessi sulla superficie nera specchiante del vetro dipinto, coinvolge e rende partecipe l’osservatore che guarda all’interno di un opera e riconosce qualcosa di se stesso. 

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