sabato 13 febbraio 2016
interview with Nanda Vigo
Nanda Vigo, classe 1936, dopo la laurea all'Institute Politecnique di Losanna inizia a lavorare aprendo il proprio studio a Milano nel il 1959. Sin dall'inizio la sua ricerca indaga il rapporto spazio/luce, questo topic caratterizzerà i lavori artistici, architettonici e di design. Nanda Vigo si avvicino alla Galleria Zimut, conoscendo Piero Manzoni ed Enrico Castellani, durante una serie di viaggi in Europa conosce gli artisti del gruppo Zero; i suoi progetti si collocano fra le differenti discipline, caratterizzati dalla poledriadria che contraddistingue Nanda Vigo.
Artista-designer-architetto, è difficile ricondurla ad un'unica disciplina data la sua produzione poliedrica. Se dovesse scegliere una delle discipline come definirebbe la sua produzione?
Le tre discipline si interfacciano tra loro e si integrano in modo tale che il “life motiv” è unitario e se si deve definire una cosiddetta “produzione”, c’è solo un termine: (forse oggi obsoleto) AVANGUARDIA. Che comunque continua a rappresentare la “Differenza”.
Negli anni ’70 era amica di Giò Ponti e di Ettore Sottsass, ma anche di Lucio Fontana e Piero Manzoni; se dovesse scegliere un ricordo o un aneddoto di quegli anni quale sceglierebbe? Me lo può raccontare brevemente?
Si, negli anni ’60 ero amica di diverse persone il cui lavoro mi piaceva molto. In look back, ogni momento passato insieme era particolare tanto da non averne in memoria uno specifico, di sicuro, però non dimenticherò mai l’incontro che ho avuto con il Giò in occasione della presentazione del mio progetto per la sua “Casa sotto la Foglia”. Avevo posato sul suo tavolo la cartella con i disegni, molto ansiosa per il suo giudizio. Mi guardò e disse: “Non voglio vedere niente, quando avrai terminato il lavoro, lo guarderò”. Un atto di grande fiducia e soprattutto di generosità che solo personaggi di alta cognizione possono permettersi di fare. Ero giovane, chiaramente con molte incertezze, si può immaginare cosa significò per me una tanta offerta di possibilità, e, per fortuna andò tutto bene, e il lavoro terminato fu approvato e pubblicato sulla rivista Domus, da lui diretta.
La luce, gli specchi e lo spazio svolgono un ruolo fondamentale all’interno delle sue opere. Come nasce questa sue “ossessione” e come viene tradotta in opera d’arte?
L’"ossessione" della luce e dello spazio dovrebbe essere inserita nel DNA umano, e tutti, più o meno lo possiedono, ma non tutti sono interessati a svilupparla, io invece si, e la mia ricerca filosofica è definita “Cronotopia”, dal greco cronos/topos, spazio/tempo, e la rappresento sotto forma di opere o di interni abitativi o di spazi/environment. Ovviamente i materiali più atti a rappresentarla sono di tipo specchiante come acciaio, alluminio, specchio, vetro più gli illuminanti per eccellenza che sono led e neon. Che cos’è un opera d’arte? Io non lo so, non conosco artisti che dicano di aver realizzato opere d’arte, ma se il lavoro è corretto nel tempo, si autodefinisce.
ph: courtesy Archivio Nanda Vigo
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