Davide Allieri, classe 1982, è artista italiano che lavorsa con le
immagini, attraverso un processo creativo che coinvolge differenti forme
espressive nelle sue installazioni. I lavori indagano sull'immagini e
sui rapporti che si creano nella sua costruzione e nel processo
sperimentale; la produzione artistica di Davide Allieri riesce ad
impressionare e a lasciare il segno inaspettatamente e con sottigliezza a
chi si sofferma, anche solo un istante, di fronte alle sue opere. Di
seguito vi propongo l'intervista con l'artista.
Chi è Davide Allieri? quel'è il percorso che ti ha portato a definirti artista?
Il
percorso che mi ha portato qui in realtà è stato molto classico. Ho
frequentato il Liceo Artistico a Bergamo e poi l'Accademia di Belle Arti
di Brera. In realtà la mia visione è presente fin da bambino. Mi piace
raccontare sempre un episodio: avevo circa 6-7 anni e vivevo in un
appartamento al secondo piano con la mia famiglia. Ricordo avevamo un
salotto grande, aperto, che si collegava con la sala da pranzo. Ricordo
che i miei genitori lavoravano molto e mi lasciavano durante il giorno
con mia nonna; lei dopo la pausa pranzo si addormentava per un paio di
ore ed io mi annoiavo a morte così iniziai a disegnare dietro i mobili
appoggiati al muro del salotto; spostavo poltrone, credenze, tavolini e
riproducevo le mie fantasie con pastelli e pennarelli perfettamente
stando nei perimetri dei mobili quando erano appoggiati alla parete,
nascondendo quindi i disegni esattamente dietro le forme e i perimetri
dati dai mobili. Li potevo ammirare solo io, era il mio segreto. Poi un
giorno, quando mio padre decise di pitturare tutta la casa, purtroppo
scoprì i miei disegni e si incazzò a morte perché eravamo in affitto e
dovette cancellare tutto. Beh lì ho capito che avrei voluto fare
l'artista e forse anche i miei genitori lo capirono.
Nei
tuoi lavori utilizzi differenti forme espressive dando vita ad
installazioni attraverso una sperimentazione dell'immagine; come nasce
questo processo?
Mi piace non avere limiti espressivi e
quindi sperimento molti linguaggi. Seguendo la natura diversa di ogni
progetto penso al miglior modo di realizzazione. L'installazione è il
filo conduttore, anche trattandosi di foto, video o disegno l'obiettivo
finale è comunque di cercare il “lato scultoreo” in ognuno di essi. Al
tempo stesso l'immagine è comunque presente in ogni installazione;
avendo avuto una forte educazione classica e storica dell'arte, la
pittura è presente sempre dentro di me e anche trattandosi di
installazione o di scultura l'immagine che si forma nel mio occhio parte
sempre da una precisa visione. Un paesaggio di elementi diciamo che si
formalizza in sculturainstallazione.
Il pieno e
il vuoto, il bianco e il nero, sono gli opposti che troviamo spesso nei
tuoi lavori come in Cubic Meters of Nothing. Puoi parlarmi di questa
serie e cosa rappresenta?
La serie sui display-teche vuote è
nata da varie esigenze. In questo contemporaneo, dove tutto è
bombardamento di immagini, dove abbiamo un surplus di ogni cosa, dove
tutto è già stato fatto, rifatto e ricostruito di nuovo mi interessava
offrire un processo contrario. In negativo se vogliamo. Un processo di
decostruzione dell'immagine piuttosto che di costruzione. Quindi una
volontà mia di omettere piuttosto che di immettere. Da questa “noia”
verso il visibile, il già visto e l'iper visto nasce la mia volontà di
tabula rasa, di “intervallo perduto”. Un contenitore vuoto (che può
essere una teca, un piedistallo, un billboard o più in generale un
supporto) suggerisce una situazione di attesa scandita da due momenti
possibili: uno antecedente, nella quale si “attende” l'inserimento di
qualcosa; mentre l'altro seguente, nel momento in cui è stato appena
rimosso qualcosa. In questa visione tra un “prima” e un “dopo” che non
conosceremo mai, una teca vuota si colloca nel mezzo di due poli e di
due momenti, in un frangente in “potentia” di un possibile o impossibile
agire. Questo “vuoto” rappresentato stimola a pensare e a far si che
dentro me o nello spettatore nascano degli interrogativi. Cosa c'era
prima? Cosa rappresenta questo vuoto? Questo vuoto è dentro di noi? E'
fuori da noi? Siamo una società senza contenuto? Domande che vorrei
portare uno spettatore a porsi difronte al mio lavoro.
Con
UNTIL THE END OF THE WORLD (ELLIPSE-POINT-LINE), indaghi il ruolo della
manifestazioni atmosferiche, in BEAUTIFUL PEOPLE dialoghi con il
passato e le sculture classiche. Apparentemente lavori differenti ma
secondo me accomunati dalla storia e dalla consapevolezza dell'essere
umano di non poter controllare i fenomeno e del non poter dimenticare il
passato. Che ruolo hanno questi due lavori all'interno della tua
produzione?
La mia visione sul passato, sulla storia è legata ad una mia volontà di classicità. La mia ambizione è
di
lavorare su “tematiche” eterne, non mi interessa essere “attuale” in
questi termini, bensì essere un “classico”. Il classico è eterno, è ciò
che ci ispira, è inattaccabile, è sempre contemporaneo e vive per
sempre. Io ambisco ad un lavoro che possa durare, che possa attraversare
i tempi senza esaurirsi mai, senza essere di tendenza. La serie “Until
the End of the World” parla di fenomeni atmosferici anomali. Nella mia
visione di vuoto, la “fine” è la protagonista assoluta: lo dimostrano i
calchi di gesso in negativo di porzioni architettoniche che mostro come
“rovine” di una civiltà passatapresente-futura oppure i supporti
“mancanti” di contenuto. Anche nel progetto sui fenomeni atmosferici un
senso di “fine” imminente è presente. Quindi aurore boreali, pianeti in
avvicinamento, eclissi, comete, raggi luminosi, arcobaleni bianchi, sono
tutti elementi evocativi che alludono ad una sorta di apocalisse
prossima.
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