mercoledì 24 agosto 2016

Interview with Claudia Losi



Claudi Losi, classe 1971, è artista italiana attiva su Piacenza dove è nata e vive tutt'ora. Le sue opere sono a stretto contatto con la natura, il legame che l'uomo instaura con essa e il rapporto di convivenza; i suoi lavori mescolano più mezzi espressivi, dalla performance alla fotografia, dalla scultura al video. Fra le sue opere maggiormente conosciuta troviamo Balena Project che l'ha portata a installare la sua balena, a dimensioni reali, in contesti diversi, creando situazioni ed interazioni in rapporto con l'opera/installazione. Con piacere vi propongo un intervista a Claudia Losi qui di seguito.


Chi è Claudia Losi? Qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista? 
Una a cui piace osservare, camminare e fermarsi ad ascoltare. Per arrivare a potere fare questo ho scelto questo modo/mondo: dove parola, immagine e suono e corpo, il mio e quello degli altri, diventano talvolta strumenti topografici d'indagine.
Ho iniziato all'Accademia di Bologna e contemporaneamente ho portato avanti studi universitari di Lingua e Letteratura Straniere. In quegli anni ho conosciuto artisti e scrittori che ancora fanno parte del mio cammino e grazie ai quali ho trovato la spinta iniziale per “provare” a insistere su questo percorso, come dici. Incontri fortunati, testardaggine, fortuna e una certa spavalderia sono gli elementi la cui combinazione mi ha fatto diventare quel che sono. Che cosa esattamente, poi, è tutta un'altra faccenda.

Utilizzi differenti mezzi espressivi, dalla scultura alla performance all'arte manuale del ricamo; come scelti il mezzo adatto ai tuoi lavori?
Quando voglio raccontare qualcosa, quando l'idea si fa insistente, la modalità attraverso cui dare forma, cucire l'ombra, viene di conseguenza. Il mezzo che scelgo così emerge da questa prima necessità. Accade anche il movimento inverso. Spesso, in corso d'opera, il mezzo stesso ti fa cambiare strada, sterza davanti ai tuoi occhi e si chiarisce che il punto di partenza è già cambiato, si modifica anzi sotto i nostri occhi perché il “fare” diventa a sua volta pensiero. Fare pensiero. Pensiero che si fa. Diciamo che l'elasticità che necessaria nei progetti in cui vengono coinvolte molte persone ha qualcosa a che fare con la duttilità che l'idea iniziale, per manifestarsi pienamente, deve avere nel momento in cui, quando la si pratica, la si “fa”, porta verso direzioni inaspettate.

Balena Project ha avuto un successo internazionale, mi puoi raccontare come nasce, si sviluppa e come termina questo lavoro?
La forma di una Balenottera Comune, di 24 metri, in lana pregiata e imbottita con un pallone gonfiabile e qualche centinaio di kg d'imbottitura sintetica, ha girato, per diversi anni, in luoghi diversi coinvolgendo ogni volta numerose persone e soprattutto il loro immaginario profondo.
Le motivazioni per cui ho innescato questo macro dispositivo immaginifico sono tante. Prima di tutto un ricordo personale, all’inizio XIX secolo furono rinvenuti parti di scheletro di grandi cetacei nei calanchi di sabbia dell’appennino piacentino. Nel Pliocene quelle stesse valli, dove ho trascorso molte estati, erano ricoperte d’acqua salata, da un mare brulicante di vita. Invece di vigneti e campi di erba medica vi crescevano distese di alghe, sedimentavano molluschi e castelli di carbonato di calcio prendevano forma. Difficile dimenticarsi di questo come della visione, nella piazza della città in cui ho passato l'infanzia, di una balena preservata, dal nome Goliath, che ha girato per alcuni anni in Italia tra la fine degli anni Sessanta e inizi Settanta, come animale d'attrazione. Forse la stessa, o sua cugina (c'erano almeno 3 balene viaggianti in Europa, in quegli anni) di cui si narra in un film cult di Béla Tarr, Werckmeister Harmonies del 2001.
Di qui l'idea di creare questo animale in tessuto, attraverso una sorta di partecipazione collettiva di persone che hanno offerto, in modi diversi, il proprio aiuto per dare letteralmente forma a questo grande “oggetto”, fortemente simbolico. Balena Project è nato, fisicamente nel 2004, e sempre materialmente sembrerebbe essersi concluso nel 2010, con Les Funérailles de la Baleine. In realtà non è così. La “forma” balena non esista più nella sua interezza: ha preso altri rivoli, diramazioni che come una radice si muovono secondo la composizione del terreno che incontrano. Ho messo mano, finalmente, un macro-racconto di quanto ha rappresentato questo progetto, gli incontri fatti, le storie che si sono aperte. Voglio farne una pubblicazione. Sarà questo il termine effettivo del progetto: la sua narrazione. Insieme a questo presenterò tutte le giacche che, ottenute inizialmente dalla pelle della balena, su modello dell'amico Antonio Marras, hanno poi viaggiato in giro per il mondo, come Giacche da lettera. Sono tornate 27 giacche, ognuna con una nuova storia cucita addosso dalle persone coinvolte, con nuovi racconti messi in tasca.



"How do I imagine being there?" è la tua mostra personale alla Collezione Maramotti (che chiuderà il 9 novembre 2016) che ho avuto l'occasione di vedere gli scorsi giorni, un interrogativo attraverso un immaginario individuale e collettivo. Cosa significa per te questa mostra e che opere sono presenti? mi puoi raccontare la collaborazione con la collezione a ReggioEmilia.
L’intero progetto di "How do I imagine being there?" parte da un luogo reale e, allo stesso tempo, sufficientemente lontano dal mio quotidiano, ovvero l’arcipelago di S.ta Kilda, nelle Ebridi Esterne, a ovest delle coste scozzesi. Questo luogo è diventato il “teatro” nel quale, negli ultimi quattro anni, ho idealmente composto un arcipelago personale, fatto di immagini e riflessioni su temi che sono da sempre al centro del mio lavoro. A Reggio Emilia ho voluto costruirne una possibile versione, partendo da un libro (Humboldt Edizioni, 2016) che porta lo stesso titolo della mostra. All’interno, i testi di una decina di autori che hanno condiviso con me i loro pensieri in merito alla relazione tra spazio ed immaginario, ma anche al linguaggio che si sceglie per descrivere la propria relazione col mondo.

Cosa vuole dire immaginare di essere in un luogo quando ci si proietta idealmente là, ci si trova fisicamente e poi si torna, ricordandosene?
Non è un libro su un viaggio come non è una mostra sul viaggiare, ma rappresenta, in qualche modo una mia personale cartografia dove memorie e immaginario si sviluppano con le medesime linee, s'intrecciano. Sono la stessa cosa.

Ci racconti il tuo attraversamento, reale e immaginario, delle isole di S.ta Kilda?
Sono riuscita a mettere piede su Hirta, l’isola di più facile approdo dell’arcipelago, solo nel 2012. Avevo tentato qualche anno prima, ma senza riuscirvi. Da qui, la frustrazione del come “sarebbe stato” essere lì. Sono luoghi fantasmatici, ricchi di storie e privi di alberi. Abitati ed abbandonati. Colonie di uccelli marini, a migliaia e migliaia, ne abitano i pendii scoscesi. Radar militari controllano le acque oceaniche lì attorno e scienziati studiano la conformazione dei basalti, le specie vegetali, le abitudini delle grandi colonie. Mi ha interessato, una volta tornata, capire come si stratificava la mia memoria, la relazione tra le aspettative ed il viaggio esperito, la mescolanza tra il prima e il dopo.
Si parte dal libro, che ho voluto come incipit della mostra, e da alcune serigrafie che riproducono l’immagine in seconda di copertina. Nella stanza successiva, un grande ricamo a terra, la rappresentazione immaginifica del Polo Nord, ripresa da una tavola che illustra un testo di Athanasius Kircher, e poi una ventina di oggetti in alluminio che han perso la propria funzione e sono ricoperti da forme fungiformi in carta pesta. Infine un tavolo-arcipelago accoglie oggetti in ceramica e bronzo, “quinte” di fotografie su alluminio, vetri e collage, lastre in zinco: un invito al viaggio. Nella mostra non si parla solo di St Kilda. Non si attraversa solo S.ta Kilda. Ha rappresentato l'mio innesco immaginativo del mio personale teatro della memoria. Ma che potrebbe essere un possibile percorso anche tuo, di chi guarda. Come procedere su certi sentieri di montagna: l'erba pestata fino a sparire. Che poi si stia seguendo al pista di un uomo o di un quadrupede è tutto da scoprire.


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