Chi è Enej Gala e qualè il percorso che ti ha
portato a diventare artista?
Lo sto ancora scoprendo.
Sicuramente l’Atelier F dell’accademia di Venezia ha lasciato su di me un segno
profondo. Il continuo confronto con ragazzi di diverse età crea una realtà
genuina e proficua in cui crescere. Alla fine il percorso è
segnato più dagli incontri che dai passi.
I tuoi lavori spaziano fra pittura e scultura
attingendo dalla cultura slovena, terra dove sei nato e cresciuto, dando vita
ad opere caratterizzate da un collegamento fra la storia e la contemporaneità,
unendo iperrealismo e fantasia. Cosa rappresentano le tue opere e cosa cerchi
di trasmettere allo spettatore?
Mi interessava il
processo di trasformazione della tradizione in frustrazione che può avvenire
naturalmente in ogni cultura. Sono partito dalla cultura slovena semplicemente
perché volevo confrontarmi con la tradizione e gli stereotipi delle mie
origini. Lavorando sulla narrazione mi è sempre interessata la moltitudine di
interpretazioni, che fanno capire l’abisso tra anche solo un’idea e la sua
percezione. Ciò mi ha portato ad indagare forme inventate, che possono assomigliare a cose conosciute, ma in
realtà sono sempre rimuginate e digerite attraverso un’ indagine accurata che
ne interiorizza i caratteri distintivi.
Le forme che non descrivono
qualcosa di specifico, ma potrebbero avere una derivazione naturale. Mi viene
in mente una scia lasciata dal racconto, che rimane nella mente, come le cacche
degli elefanti dopo che il circo se n’è andato. Mi piace l’atemporalità
delle cose, dove il tempo anche se considerato da un punto di vista statico o
lineare, non può che essere effimero e oscillante.
Nel 2015 prendi parte ad una residenza presso la
Bevilacqua la Masa di Venezia, cos'ha significato per te questa occasione? che
opere hai prodotto?
Il periodo di residenza mi ha dato moltissimo. Avendo avuto uno studio grande ho potuto spaziare molto con dimensioni e materiali, senza pormi troppi limiti. È stato un bel periodo, in cui ho prodotto parecchi lavori e mi sono confrontato con varie realtà e artisti che avevano modi e poetiche molto diverse dalla mia. Bisognerebbe rendersi conto che tali opportunità sono rare, e posti come BLM andrebbero difesi e preservati con più cura.
A Milano presso la Fabbrica del Vapore si è tenuta
la tua personale "Prefabrik", mi puoi raccontare della mostra e che
opere erano esposte?
Questa mostra mi si è
presentata come una sorpresa, attraverso il concorso Stonefly. Le opere sono
state quasi tutte prodotte nello studio della BLM senza pensare ad un eventuale
allestimento e mi è piaciuto poterle esporre così presto, confrontandomi con lo
spazio della DOCVA di Viafarini.
Il titolo riprende quello dell’opera
vincitrice, un rimando alle strutture prefabbricate presenti nei nostri modi di
esistere, intendere e consumare l’ideologie prevalenti.
Sono i sintomi della
società descritti da Byung-Chul Han, che mi hanno fatto riflettere sulla misura
in cui i nostri passi siano coreografi dalle comodità o abitudini e su quanto
queste vengano inflitte attraverso varie forme di convenzioni; calcolate per
renderci inoffensivi e non comunicanti.
Delimitano cosi il nostro
campo d’azione all’interno di microcosmi autosufficienti, che aumentano la
distanza dal sipario. Le opere nella mostra a
grandi linee si domandavano questo. Con la loro interazione creavano uno spazio
immaginifico, che oltre all’interpretazione di cause ed effetti, suggeriva
nuove possibilità d’intendere le relazioni interne al processo della
degenerazione umana. Sintetizzando spesso in ironia o sarcasmo l’autosufficienza
dei nostri sistemi di comprensione.
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