Chi è Elia Cantori e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono una persona curiosa e la voglia continua di capire le cose mi ha portato a diventare artista ed è un percorso che faccio da sempre per il semplice piacere di farlo. Ho studiato arte contemporanea a Londra per diversi anni frequentando un corso triennale alla Goldsmiths e un biennio di master alla Slade. Mentre in Italia ho partecipato al corso di arte contemporanea organizzato dalla Fondazione Ratti nel 2008 e dalla Fondazione Spinola Banna nel 2010. Attualmente vivo e lavoro ad Ancona, città dove sono nato e cresciuto.
Il tuo lavoro è caratterizzato da un'indagine sui fenomeni chimici, fisici e naturali; una ricerca che diventa presenza nelle tue opere. Come avviene questo processo?
Spesso il lavoro dell’artista è un sunto di tutto ciò che lo interessa e lo stimola, cose che vengono captate ed isolate e poi reinterpretate nei lavori. La stessa cosa avviene nei miei, è una ricerca costante che non dipende per forza da uno studio teorico, ma è un' indagine più ampia ed include anche le esperienze personali. In un secondo momento il cervello, dopo averle selezionate, le rielabora fino a generare l’idea. E' un po’ come quando si cerca di imparare una lingua per la prima volta , dove all’inizio ogni cosa sembra incomprensibile, ma poi arriva un punto in cui tutto si collega in maniera naturale ed inizi a parlare; così vale per la creazione di un lavoro. Come scultore cerco di recepire molto per poi produrre.
Nelle serie Explosion e Black Hole la tua ricerca della raffigurazione dell'energia, del mutamento e della presenza diventa possibile attraverso l'utilizzo sperimentale della macchina fotografica. Cosa caratterizza i due progetti? Qual'è il ruolo della fotocamera?
La serie Explosion e Black Hole sono accumunate dal fatto che in entrambi i casi ho cercato di dare forma all'immaterialità dell'energia attraverso il mezzo fotografico. Nel caso di Explosion ho usato come supporto un foglio di carta fotosensibile su cui ho attivato dell'esplosivo nel buio della camera oscura. La superficie fotografica registra contemporaneamente la luce dell'esplosione e la conseguente bruciatura dello sparo. Per Black Hole invece mi sono servito anche del foro stenopeico e dell'emulsione fotosensibile per registrare l'immagine distorta dello studio all'interno della superficie del cono di Black Hole. In maniera molto semplice sono riuscito a restituire una fotografia della possibile distorsione spaziale dello studio causata dall'attrazione gravitazionale di un buco nero. Per me oltre alle qualità formali dell'opera e importante anche la fase processuale che sta all'origine, per questo cerco di evitare la macchina fotografica. Voglio avere un rapporto il più fisico possibile con l'opera. Cercare di avere la stessa esperienza spaziale e materica che si ha con la scultura.
Resti del tuo studio sono diventati una sfera di 90cm di diametro, trasformandosi nell'opera "Stanza", un estremizzazione della sintesi spaziale del luogo dove hai lavorato. Mi puoi parlare di questo progetto?
Per realizzare “Stanza” mi sono servito della forza fisica della distruzione come forza creatrice per trasformare e modificare la materia e lo spazio. Attraverso l'uso di una levigatrice elettrica e di una smerigliatrice a cui ho applicato una spazzola d'acciaio, ho polverizzato l'intera stanza dello studio dal soffitto alle pareti fino alla moquette, porta inclusa. Successivamente ho realizzato il calco di una sfera dal diametro del volume di materiale recuperato e "cementificato" il tutto all'interno dello stampo. Dopo diverse settimane ho rimosso la "Stanza" dal calco. Il risultato è una condensazione spaziale dove gli unici indizi di questa lunga performance sono la serratura incastonata sulla sfera e la luce al neon che la illumina costantemente.
All'interno del Forte di Monte Ricco, per la collettiva Fuocoapaesaggio, è presente il tuo lavoro "Untitled 1:1 Map", mi puoi raccontare cosa rappresenta questo progetto?
“Untitled 1:1 Map” non è altro che un calco in scala 1:1 di alcune cartine geografiche che tenevo in studio. Sono state realizzate in fonderia attraverso la tecnica del sand casting che consiste nell'imprimere sulla sabbia la superficie che si vuole replicare. Le varie fasi di produzione del lavoro, compresa la colata dell'alluminio fuso, si sono registrate sulla superficie della mappa creando un paesaggio fittizio nel quale lo spazio reale e quello rappresentato si fondono.
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