Dislivello project è il progetto di Stefano Comensoli e Nicolò Colciago che li ha portati a piedi dallo studio alle porte di Milano al Villaggio Eni a Borca di Cadore. Un percorso non solo fisico ma anche interiore che ha permesso loro di confrontarsi, di apprendere e dare vita a lavori con oggetti trovati lungo il cammino. Giunti a destinazione hanno costruito un bivacco che diventa segno di un traguardo raggiunto che diventa il nuovo punto di partenza nel bosco vicino all'ex-colonia. Di seguito l'intervista con i due artisti.
Come nasce il progetto Dislivello? chi c'è dietro?
Dislivello nasce dalla volontà di mettere in discussione le nostre modalità di ricerca, spostamento e creazione. Attraversare lo spazio fisico e mentale. Colmare la distanza che separa il Magazzino (il nostro studio a Garbagnate Milanese) e l'Ex Villaggio Eni (Borca di Cadore).
Dislivello è un progetto di Stefano Comensoli e Nicolò Colciago, prende forma grazie alla collaborazione di Spazienne (Stefano Comensoli, Nicolò Colciago, Federica Clerici, Alberto Bettinetti e Giulia Fumagalli) e Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee (Gianluca D'Inca Levis e Giovanna Repetto).
La spedizione è stata attrezzata grazie al contributo di Salewa, Tuttosport Longarone e Tabacco Editore.
Il vostro viaggio è iniziato dallo studio nella periferia di Milano fino a Borca di Cadore. Com'è avvenuto? ricordate qualche aneddoto in particolare?
E' iniziato il 19 luglio in seguito a un mese di allenamento.
Dentro lo zaino e nella testa l'essenziale.
Diciannove tappe da 30 km di media. Un itinerario studiato da noi per il più breve tempo di attraversamento, ma con il più alto dislivello.
Abbiamo seguito prima i canali, i fiumi, le piste ciclabili e le strade provinciali per poi continuare sui sentieri di montagna arrivando infine a destinazione. Durante tutto questo la mente ha viaggiato più veloce del corpo e l'occhio ha registrato anche i minimi particolari.
La fatica è stata ripagata da emozioni semplici figlie di bisogni essenziali.
Ci siamo persi nei boschi e ci siamo ritrovati. Abbiamo avuto paura di rimanere senz'acqua, camminato di notte, e ci siamo lavati nelle cascate. Bivaccato in posti magici, osservato le stelle e ascoltato storie e consigli delle persone. Abbiamo imparato a seguire l'istinto e a utilizzare come strumento il corpo.
Il viaggio ha dato vita ad una serie di opere caratterizzate da oggetti di recupero e reperti trovati lungo il percorso. Come nascono queste opere e cosa le caratterizza?
Il recupero di materiali e di oggetti è una parte importante della nostra ricerca.
Durante il viaggio abbiamo messo in crisi piccole modalità che hanno però trasformato il lavoro. La mancanza di uno spazio dove archiviare il materiale, dove lavorare e installare, ha dato così sfogo all'esigenza di esprimere lì dove eravamo.
Abbiamo fatto economia della fatica e portato con noi poche cose e per poco tempo lavorandole di getto.
Gli oggetti sono stati reperiti in una modalità nomade. Sono stati utilizzati materiali e tecniche di arrangio derivanti dall'osservazione sul campo e da come il luogo stimolava il nostro immaginario.
Gli assemblaggi (arrangiamenti) installati nel paesaggio, una volta fotografati, sono stati abbandonati al divenire.
Non solo opere ma anche foto, il progetto è stato documentato da una serie di scatti che raffigurano lo stencil durante il viaggio, segno del vostro passaggio. Da dove nasce l'esigenza di voler lasciare le proprie tracce?
La fotografia è per noi un mezzo di ricerca, furti visivi di porzioni della realtà.
Queste immagini ci servono per studiare composizioni, accostamenti e soluzioni costruttive. Fanno parte del nostro quotidiano e sono appunti che arricchiscono un grande archivio di osservazioni (furti fotografici).
Lo stencil (segnavia) è stato fin da subito un'attività che ha accompagnato il nostro cammino marcandolo e lasciandone tracce visibili. La forma è ispirata al dislivello come concetto montano in chiave industriale. La porzione negativa del marchio è servita come spazio adibito alla campionatura di superfici incontrate, mentre il colore arancione ad alta visibilità è quello utilizzato per segnare tracce nei cantieri.
In questo progetto il mezzo fotografico è stato utile anche per una narrazione virtuale.
Abbiamo utilizzato instagram come un diario di viaggio in continua evoluzione in cui si sono susseguite in modo ritmico immagini di vissuto, di ricerca e di attraversamento del paesaggio.
Giunti a destinazione avete dato vita ad un bivacco utilizzando materiale di fortuna. Cosa rappresenta questa costruzione all'interno del vostro progetto?
Il bivacco è un luogo dove non avviene il termine di un viaggio, ma in cui ci si ferma per poi proseguire. E se il viaggio diventa la ricerca, Borca non era più un punto di arrivo, ma una ripartenza.
Situata all'interno di un bosco limitrofo all'area dell'Ex colonia Eni, sede di Progetto Borca, Risulta una scultura/bivacco, un'architettura figlia di un'istinto e quindi non progettata a priori.
Costruita con materiali reperiti all'interno di questa miniera architettonica abbandonata, utilizzando le tecniche di legatura e di costruzione osservate durante il viaggio, la scultura dopo ventidue giorni di lavoro ha preso forma. Una pianta ottagonale irregolare, sopraelevata dal terreno, pareti concepite e assemblate come quadri. Una forma non da contemplare, ma da vivere.
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