Michele Tajariol, classe 1985, è artista italiano i cui linguaggio coniuga scultura e performance attraverso la rappresentazione del processo-risultato. Il suoi lavori sono caratterizzati dall'istinto primordiale della ricostruzione di oggetti che ci circondano dandovi una nuova forma, un nuovo significato. Di seguito vi l'intervista con l'artista che ho avuto il piacere di scoprire alla mostra Fabula Enigmi presso il museo MuPa.
Chi è Michele Tajariol? qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono nato a Pordenone nel 1985, spostandomi in Toscana ed all’estero per studi. Principalmente la mia istruzione ha gravitato attorno alla sfera delle arti, cosa che ovviamente ha segnato sensibilmente la mia crescita, educativa, emotiva ed in seguito espressiva. Tuttavia, nel corso degli anni ho compreso che non esisteva più una forte settorialità tra i differenti linguaggi espressivi, e così ho iniziato a cercare quei cortocircuiti che potevano accrescere la mia grammatica. Parallelamente, mi immergevo nella provincia industriale, nelle numerose e splendide zone artigianali colme di capannoni e fabbriche in cui ammirare materiali semilavorati, attrezzature e il fare operaio. Un mix impareggiabile di cultura e pragmatismo.
Il tuo processo creativo è caratterizzato dall'assemblamento e dalla ricomposizione attraverso una decontestualizzazione di oggetti e soggetti comuni; come avviene questo processo e cosa ti porta alle tue sculture-oggetto?
Ho sempre cercato di lavorare attraverso ciò che conoscevo meglio. Oggetti e soggetti che componevano non solo il mio immaginario ma anche una specie di quotidianità. Il modo migliore per dirottare questi oggetti dentro il mio linguaggio è stato, fin da subito, quello di smontarli o distruggerli. Attuando questo meccanismo, gli oggetti perdevano la loro originaria funzione e mi permettevano di scardinare la loro autoreferenzialità. Esempio, comporre una scultura, testarla come se fosse uno strumento e chiedersi: funzionerà?
Le performance ricoprono un ruolo nel tuo lavoro, un momento che rimane impresso nei loro risultati, che ne narrano l'azione e il momento, come in Untitle-self e Corpo estrano ad esempio. Come nascono questi progetti e cosa li ha caratterizzati?
Untitle-self e Corpo estrano sono due opere in cui il macro tema è il Ritratto. Nella prima, la funzione della scultura è stata drasticamente effimera. L’oggetto-scultura veniva composto solo ed esclusivamente per la funzione performativa-fotografica. Una breve azione concretizzata ad uno scatto, in cui la composizione del ritratto veniva ridefinito continuamente. Azione e funzione, oggetto o soggetto premevano sui loro limiti, per poi emergere in quei ritratti.
In Corpo estraneo ho spostato la funzione dell’oggetto. Qui la scultura è cresciuta smontando alcune imbracature di sicurezza, per poi cucirle e riassemblarle a misura del volume della testa. Qual è il corpo estraneo? Ciò che si innesta nella scultura o l’oggetto disfunzionale? Questo progetto mi ha permesso di ottenere tre sculture, tre brevi azioni e una serie di scatti fotografici.
NARS è un progetto a cui hai partecipato e nel 2014 assieme a Lorenzo Cianchi, mi puoi raccontare in cosa consiste il progetto?
NASR è un progetto scritto e realizzato assieme a Lorenzo Cianchi, selezionato per Kilow’Art, residenza d’artista che si è tenuta a Sansepolcro. NASR sta a definire Nuove Aree di Sosta Religiosa ed è stata sviluppata attraverso l’idea di mito ed il soggetto delle edicole votive, il suo contenuto, la sua funzione e la sua socialità. Il progetto ha previsto la partecipazione di alcuni cittadini, a cui io e Lorenzo abbiamo proposto di raccontarci e consegnarci un aneddoto, un loro mito, un oggetto o altro che facesse parte di loro stessi; noi, gli artisti, lo avremmo successivamente tradotto in opera d’arte e riconsegnato al pubblico all’interno di una sorta di edicola votiva, installata per un periodo nel centro urbano di Sansepolcro. Questo progetto ha esaltato il lato di rielaborazione e composizione dei dieci temi che ci sono arrivati, ed è stato compito nostro gestirli, senza inciampare in banali o didascalici escamotage visivi. Il tutto è stato quasi costruito sul posto, cosa che contraddistingue il lavoro durante la residenza d’artista con tempi, modalità ed imprevisti che accrescono l’esperienza stessa.
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