Chi è Yuri Ancarani e qual'è il percorso che ti ha fatto diventare artista?
Sono un videomaker, e mi sono avvicinato al mondo dell’arte perché era l’unico ambiente che dava la possibilità di fare quello che più mi interessa: sperimentare.
I tuoi progetti sono contraddistinti da uno sguardo personale su tematiche che ci riguardano da vicino. Cosa caratterizza il tuo linguaggio comunicativo?
Che siano film o che siano video, questo non ha importanza. Sono sicuramente visioni amplificate della realtà. Sono analisi del comportamento delle persone o degli oggetti.
I tuoi video raffigurano l’Italia contemporanea, come in San Siro e la Questione Romagnola; che ruolo ha l'Italia nei tuoi lavori che vengono esposti principalmente all'estero? quel'è la loro relazione?
Sono nato e vivo in Italia, e l’italiano è la mia lingua, l’unica che conosco e che mi serve per parlare con le persone che ho vicino. Uso l’immagine in movimento come linguaggio per comunicare con tutti.
Mi puoi raccontare come nasce il video The Challenge girato in Qatar e cosa rappresenta?
Il film ha preso forma a Los Angeles dove mi trovavo per una residenza di ricerca vinta dopo la mia prima personale americana presso l'Hammer Museum. Volevo realizzare un film nel deserto americano. Ho fatto molti sopralluoghi attraverso la California, il Nevada, l'Arizona per sondare l'ambiente deserto, ma alla fine della residenza ho capito che per raccontare il deserto americano oggi dovevo andare da qualche altra parte... in Qatar.
Whipping Zombie e Lapidi sono i due lavori esposti a Manifesta 12 a Palermo, lavori caratterizzati dalla memoria/e su storia collettiva. Mi puoi raccontare come nascono questi progetti?
"Whipping Zombie" e "Lapidi" tentano di verificare sul campo le metamorfosi contemporanee delle pratiche della memoria, in relazione ai traumi e alle lacerazioni sanguinose della storia collettiva.
Il primo, "Whipping Zombie", l'ho girato in un villaggio rurale di Haiti, documentando per la prima volta una celebrazione collettiva nella quale i discendenti degli schiavi (che vivono ancora in condizioni spaventose) mettono in scena una danza rituale incentrata sulla memoria della sottomissione violenta. Forse questo ha un significato catartico, di certo fa riflettere sulle dinamiche di elaborazione del trauma in una comunità.
Ho poi presentato un lavoro specifico per il contesto palermitano, "Lapidi", costruito osservando le pratiche che si creano intorno alle lapidi che ricordano le vittime della violenza mafiosa: dalle manifestazioni commemorative ai selfies e in qualche caso all'oblio.
"Leonardo Scotti, 2014"
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