martedì 20 agosto 2019

Interview with Davide Sgambaro

Davide Sgambaro, classe 1989, vive e lavora fra Torino e Milano. I suoi lavori spaziano fra differenti media espressivi, dalla pittura alla performance passando per la scultura e l'happening partecipativo. I suoi progetti sono caratterizzati da due filoni, ovvero l'oggetto e l'evento, che diventano parte del linguaggio caratterizzato dall'omissione e sottrazione data spesso dall'alterazione sensoriale che i lavori trasmettono. Di seguito l'intervista con Davide in relazione ai suoi ultimi lavori e progetti.


Chi è Davide Sgambaro e il tuo percorso per diventare artista?
 Veneto di nascita mi sono formato allo IUAV di Venezia e a l'Ecole Nationale Suprieure de Beaux-Arts di Parigi. Successivamente ho lavorato per alcune fondazioni e gallerie soprattutto italiane con qualche parentesi estera.

 La tua ricerca artistica è caratterizza dalla narrazione attraverso differenti media espressivi, dalla scultura al disegno, alla fotografia. Un processo di contaminazione e di relazioni che nascono da un dialogo fra gli attori. Quali sono di due filoni su cui stai lavorando? 
 Grazie alla mia formazione prettamente concettuale e narrativa non mi sono mai precluso l'utilizzo di diversi media, trovo che sia fondamentale affrontare il medium che più si addice all'idea e al concetto stesso. Posso però suddividere la mia pratica in due filoni strettamente legati tra loro, ma differenti nella restituzione: l'oggetto e l'evento. Dipendentemente dalla ricerca in corso e dallo spazio ospitante nascono progetti che si sviluppano e concludono con restituzioni differenti. L'attenzione alle proposte, alle situazioni, ai luoghi e al dialogo influenzano costantemente il mio lavoro il quale viene plasmato e ne escono strutture molto spesso site-specific. Credo che il mio rapporto con l'oggetto, la scultura, sia legato al metodo della sottrazione. Lavorando partendo da narrazioni è inevitabile che durante la ricerca si vada a togliere, a digerire informazioni al fine di rendere l'opera un suggerimento fruibile dall'esperienza personale altrui, ma indirizzata da quella dell'artista. L'omissione e la sottrazione sono per me tematiche molto importanti e sono inevitabilmente legate alla precarietà. Per questo dopo l'idea arriva la ricerca teorica e sulle proprietà dei materiali al fine di creare il paradosso necessario per una chiave di lettura condivisa. Questa prima pratica più materica e legata al fare viene alternata e talvolta approfondita con un secondo metodo di lavoro che tratta le medesime tematiche ma inserisce presenze e connessioni. Per istituzioni o musei, quando possibile, cerco di proporre progetti a lungo termine per sviscerare la mia ricerca attraverso ospiti, situazioni, pubblicazioni e restituzioni documentate. Attualmente sto progettando un nuovo lavoro a "puntate" legato alla tematica dell'equilibrio tra autostima e auto critica, messo in contrapposizione al mondo del rap italiano e finalizzato alla restituzione di una o più sculture composte da materiali effimeri.


L'ultimo lavoro di tale peso, "White and black stripes and a red nose"  stato presentato negli spazi di Almanac Inn e dopo due appuntamenti sto lavorando alla produzione finale. White and black stripes and a red nose (The game), (Let’s talk), (A movie). è una partita a poker, una performance/installazione composta in tre atti. Mi racconti in cosa consiste e come si è svolto?
Da qualche tempo la mia ricerca si è focalizzata sulla figura del "fallito" e i suoi immaginari visivi alla quale il nostro linguaggio è abituato. Dal titolo infatti si può percepire un richiamo a due figure per me fondamentali: il clown e il mimo, figure esasperate su diversi punti di vista (usi e costumi, ruoli, fini ecc) vicine all'individuo caricaturato e quindi declassato dalla normale dignità al fine di divertire un pubblico. In questo caso la città, la proposta di public program e le persone con le quali sono entrato in contatto hanno influenzato questo progetto inizialmente concepito come mostra canonica ma deviato poi verso una serie di incontri che avrebbero poi dato vita ad un lavoro finale. (The game) è stato il primo step nel quale ho proposto ad alcuni artisti con differenti caratteristiche (es. artista milanese, bolognese, torinese, artist run space, duo artistico ecc..) di scommettere un proprio lavoro e giocarselo al tavolo da poker dove li avrebbe attesi la curatrice Giulia Gelmini nel ruolo di croupier. Per tale progetto non parlerei di performance in quanto non c'è un controllo sulle azioni, ma di gioco. L'idea era quella ci raggruppare un po' i vari stereotipi dell'artista emergente mappando quindi le diverse esperienze e raggruppando curatore e artisti allo stesso tavolo ricreando così un gioco nel quale ognuno decideva una propria strategia per giocarsi al meglio le proprie carte. Una metafora del sistema contemporaneo che non è criticato ma è appunto caricaturato con la partecipazione di alcuni dei protagonisti stessi. Durante questo evento ho filmato con una camera fissa tutto l'evento al fine di creare un film di documentazione con l'aggiunta dell'audio di (Let's talk). (Let's talk) è il secondo step del progetto nel quale ho invitato alcuni curatori appartenenti a due generazioni differenti a conversare con il pubblico sulle differenze nel ruolo del curatore/critico presente rispetto ad un recente passato. Volevo portare a galla alcuni esempi sul come le situazioni ed i rapporti con gli artisti sono cambiati sia in ambito indipendente che in ambito istituzionale. I curatori invitati a questo talk erano Luca Cerizza, Giulia Mengozzi, Lisa Andreani e Giulia Gelmini. Il terzo ed ultimo appuntamento sarà la proiezione del film (A movie) che sarà composto dalle immagini di (The game) e l'audio con sottotitoli di (Let's talk). Attualmente sto lavorando ancora per la produzione del film ed il montaggio e non saprei dire quando potrà essere fruibile.

A kind concession to disorder (ass), (forearm), (feet) è un progetto caratterizzato dal processo del fallimento, Come nasce e cosa caratterizza questo progetto?
 Il fallimento è necessario quanto è fondamentale il rischio come metodo di lavoro. Quando non si riesce a produrre quanto si vorrebbe si deve fare una cernita di progetti mantenendo un equilibrio tra autocritica e autostima e lavorando molto di concetto e ricerca per poi poter comprendere e controllare al massimo la produzione e la restituzione. Non ho mai creduto molto nei lavori scultorei spinti dall'ansia dell'iperproduzione. Nel caso di "A kind concession to disorder (ass), (forearm), (feet)" stavo lavorando per la GAM di Torino e Fondazione Spinola Banna per l'Arte, un progetto della durata di un anno di ricerca con una piccola produzione per la restituzione finale. In tal caso la tematica proposta era inerente al macro tema del diario ed io non ho avuto molta difficoltà ad adeguarmi, semplicemente sono andato avanti con la ricerca che stavo proseguendo in quanto suggestionata da esperienze personali. L'idea mi è apparsa mentre rileggevo alcuni miei appunti scritti e notavo che si ripetevano molti verbi inerenti alla ricerca di un tempo sospeso, di una concentrazione, di un dolce far nulla. A quel punto ho iniziato a progettare delle sculture finalizzate ad un ideale appoggio per una stasi utilizzando le misure del mio corpo per calcolare altezze, posizioni e misurazioni varie. Ho quindi progettato queste sculture di legno con dei piccoli incavi dove sono poi stati posti dei cuscini rivestiti di velluto e cotone che invitano alla fruizione dell'opera e staccano dal colore neutro dei diversi legni scelti. In queste sculture però non potevano mancare alcuni dettagli di disturbo, elemento spesso presente nei miei lavori, questa volta invisibile ma facilmente percepibile, ovvero la scomodità. Prendendo le misure per le sculture ho volontariamente aumentato o diminuito alcune altezze, larghezze o pendenze in modo tale che si, inizialmente ci si senta in totale comodità e a proprio agio, ma ad un certo punto si provi un lieve dolore posturale per il quale si è obbligati a spostarsi. Questo è appunto il paradosso inerente alla nostra necessità di staccare, di recuperare la propria intimità, ma allo stesso tempo l'impossibilità di farlo per cause altre o per sensi di colpa totalmente inutili. (Ass) è stata concepita come una seduta, (Forearm) un appoggio per gli avambracci e (Feet) può essere sia una sorta di podio che un inginocchiatoio.

 Mi parli del tuo progetto alla residenza presso i Bocs Art di Cosenza? 
 Seguendo sempre la ricerca sopracitata in questo contesto sto lavorando sul luogo e soprattutto sul tempo e il significato della residenza in se'. Tornando all'universo ludico mi sto concentrando sul tempo festivo, tempo festivo portato anche da una precarietà per la quale non si hanno orari, obblighi o doveri se non quelli di cercare di sopravvivere e nel frattempo lavorare. E' un tempo festivo quindi non ricercato ma accaduto, un tempo di dialogo e perchè no di "vacanza". Per questo ho deciso di iniziare a sperimentare il mio nuovo progetto intitolato "Parappaparaparapapapara (n. serie)" che consiste in un'azione totalmente priva di fine logico, un'azione dettata dalla depressione e dall'apatia ma che produce un lavoro finito che quindi diviene effige stessa di stati d'animo affossanti. L'azione in questione si svolge sul letto, appoggio un bicchiere sulle lenzuola e, aperto un pacchetto di m&m's, una ad una, le lecco ed inizio a cercare di far canestro nel bicchiere. Le m&m's che falliscono il colpo imprimono il lenzuolo e lo segnano registrando così dei punti di colore totalmente casuali simbolo di una mira poco allenata. Probabilmente la serie finirà quando migliorerà la mia mira. Il titolo nello specifico deriva da una ricerca su youtube nella quale scrissi appunto "Parappaparaparapapapara" per cercare il componimento simbolo del clown di Julius Fucik "Entry of the gladiators". So per certo che qualche volta è capitato anche a voi. Il sottotitolo è invece il numero seriale del pacchetto di m&m's utilizzate per ogni lenzuolo.



1.White and black stripes and a red nose (The game) - 2019, table, various objects, ambiental dimensions, - installation view Almanac Inn (Torino)
2.Parappaparaparapappapara (906G1HAGP4OD) (921B1HAGP4OD) 2019, artist proof, m&m’s on sheet, 60x30cm each, ph. Jacopo Belloni private collection
3.A kind concession to disorder (ass, forearm, feet) - 2019, wood, cotton, velvet, variable dimensions, - installation view Spinola Banna per l'Arte
4.Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno - 2016, red skydacer, ambiental dimensions, - installation view Bevilacqua La Masa (Venice)
5.Parappaparaparapappapara (921B1HAGP4OD) 2019, artist proof, m&m’s on sheet, 60x30cm each, detail ph. Jacopo Belloni private collection
6.White and black stripes and a red nose (The game) - 2019, table, various objects, ambiental dimensions, detail - installation view Almanac Inn (Torino)
7.Testa di donna con un velo intorno al capo - 2018, enamel on canvas, 20x20x3,5cm each, - installation view Rita Urso Artopia Gallery, - ph. Natalia Trejbalova
8.Una cosa divertente che non farò mai più #3 - 2018, brass, woolen cloth, 20x60x0,2cm, - installation view Rita Urso Artopia Gallery, - ph. Natalia Trejbalova
9.Una cosa divertente che non farò mai più #12 - 2018, brass, woolen cloth, 60x50x0,2cm, - installation view Rita Urso Artopia Gallery

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