venerdì 3 gennaio 2020

Interview with Alice Mestriner & Ahad Moslemi

Alice Mestriner, Treviso 1994 , e Ahad Moslemi, Téhéran 1983, sono un duo artistico che sviluppa progetti multidisciplinari caratterizzati dal tema dell’identità e della Vanitas. Installazioni e performance si integrano all'interno dei lavori di Alice&Ahad frutto di una ricerca culturale/personale che nasce dal dialogo fra i due artisti. Di seguito l'intervista con il duo.


Chi sono Alice & Ahad e qual'è il percorso che vi ha portato a diventare artisti e lavorare assieme?
Le nostre ricerche si sono unite in Canada, il paese che ci ha fatto incontrare. Tutto è iniziato durante l'opening di una mostra, dove eravamo visitatori. Entrambi stranieri, ci siamo riconosciuti e, abbiamo iniziato a parlare e a condividere le nostre considerazioni sulla tematica dell’esposizione, notando che nelle nostre idee c'era una certa affinità. Così con il tempo, quello che abbiamo cercato di fare è stato dialogare e cooperare insieme, traducendo visivamente i nostri pensieri e riflessioni. Le nostre tematiche di ricerca analizzano principalmente tre concetti: la Vanitas, l’identità e il linguaggio, cercando di sviscerare in contesti diversi come siano fortemente interconnessi. Essendo due individui distinti, le nostre conversazioni non hanno necessariamente un’unica conclusione o un unico punto di incontro. Di fatti su uno stesso progetto possono esistere due piani di lettura diversi, due dichiarazioni diverse a seconda del punto di vista preso in considerazione, creando talvolta un enigma.
Ad esempio, quando lavoriamo sul concetto di Identità, (considerato come termine e principio filosofico), le nostre opinioni sono diverse e quasi quasi opposte. Io (Ahad) penso che l’identità sia una cosa che può arrivare ad avere una definizione in quanto le persone e le cose sono il “banale” e conseguente risultato delle loro esperienze. Questo mi porta all'ossessione di andare a ricercare quale sia l’elemento o gli elementi che hanno portato alla caratterizzazione della cosa in sé: ciò che ne risulta. Io (Alice) invece penso che l’identità sia un elemento molto complesso da analizzare, tanto da metterlo in discussione. Trovare una definizione è di per sé paradossale perché credo sia un elemento in stretta connessione con il tempo in quanto si identifica con il suo costante divenire. Quindi è un controsenso dire: “Io sono” dato che si tratta di uno sviluppo nel tempo, e a livello linguistico non esistono espressioni che possano enunciare il concetto correttamente. Dovrebbe esistere a mio parere una forma linguistica di questo tipo: “Io sono-sarò". La definizione dell’identità diventa conseguentemente un atto vano o mera illusione. I nostri dialoghi sono molto stimolanti e ci portano a guardare la tematica sotto diversi punti di vista. Crediamo difatti che questo modus operandis “dialogare”traspaia un po’ nei nostri lavori.

La vostra estetica e ricerca spazia fra scultura e performance, cosa la caratterizza e come nascono i progetti?
Sì, è vero la nostra ricerca spazia tra diverse forme. Generalmente quello che facciamo è realizzare dei progetti con il media che essi stessi richiedono. Come accennato prima le tematiche che ci stanno più a cuore sono l’identità e la Vanitas, due concetti a nostro avviso complementari. Cercare di trovare una definizione o cercare di identificarsi in qualcosa è un atto vano in quanto è un momento transitorio. La contemporaneità vive su un presente fuggevole, quasi istantaneo. La nostra identità e la nostra vita si scontrano in un continuo conflitto tra: un passato “definito”, pesante, radicato e un futuro in cui riponiamo la tensione al divenire, ai desideri, sogni e la volontà di continuare. In questa opposizione il presente è il momento in cui noi esistiamo, un salto tra una sponda e l’altra, il passato e il futuro. Il presente è un momento di apnea già pronto ad altro, ma non esiste nessuna struttura linguistica che possa esprimere la nostra esistenza ora, o almeno nelle lingue che noi conosciamo.
Forse è anche a causa di questo che nella nostra ricerca si incontrano diverse tecniche e materiali... come dei piccoli momenti di apnea. Ma sì, è vero dividendo per categorie possiamo distinguere due filoni principali: installazioni e performance. Crediamo che questa invece sia un’altra coppia di opposizioni che ci fa tornare all’inizio. (Dove) La vita è la morte, e la morte è forse la vita, un meccanismo che si attiva attraverso la vanità che è un istinto vitale nell’uomo. Le installazioni sono un momento indefinito, una sorta di magico passato, presente e futuro insieme, un momento emblematico: una natura morta. La performance al contrario inizia, si sviluppa e si conclude nel momento in cui prende atto, è effimera come il momento di vita che rappresenta.

Il Movimento e l'Espressione sono la risposta ad una necessità interna all'uomo, l'atto di sopravvivere alle sue pressioni principali quali l'invasione della sfera privata e, lo scorrere del tempo che lo angoscia nella riuscita della propria compiutezza. Inserito in un contesto sociale l'uomo fa fronte ai propri limiti, trovandosi costantemente di fronte allo scontro tra pubblico e privato. Questo è il conflitto ''originale'', ovvero delle origini che maschera la scena di ogni sceneggiato storico e culturale. Viene chiamato in modi diversi a seconda di dov'è collocato e da chi lo scatena. Cambia spesso e volentieri il suo nome, identità o déguisement ma la sua essenza non cambia: volontà di potere. La teoria di Hobbes, Homo homini lupus, non è cosa datata ma è realtà che viene mascherata alla base dal perbenismo e la finta educazione, perché l’uomo desidera per natura avere ed imporsi. Questo comportamento viene socialmente negato e giudicato negativo ma al tempo stesso viene bramato. Ma cos'è che spinge verso questa attitudine alla bramosia? /Chronos/, il tempo, in questo caso la paura di non avere tempo per la realizzazione del proprio progetto di crescita personale. C'è qualcosa che bisbiglia nelle nostre orecchie: tutto scorre e finisce. La vanità delle azioni è d'accompagnamento all'uomo al fine di arrivare a tramortire questa voce bisbigliata da Chronos. L'umanità non riuscirebbe a sopravvivere allo scorrere del tempo se a distrarlo non ci fosse questo bisogno di manifestare il proprio potere, il lasciare una traccia o una memoria di sè. Ma, dov'è il senso di tutto ciò? Il senso del percorso è stabilito e dato solo da una causa finale: la morte. Ed ecco perché in tale contesto esiste una costante copresenza di inizio e fine, Vita e Morte. L'uomo nasce da una coesistenza di valori conflittuali, dove tali valori risultano di difficile relazione all'interno di un qualsiasi contesto sociale. L'uomo e la Natura si co-fondono e confondono insieme negandosi l'uno nell'altro.

We are I è una vostra performance legata al tema del linguaggio. Mi racconcate come si è svolta e cosa la caratterizza?
“We are I”, è stata realizzata nel 2018 dopo alcuni viaggi tra l’Italia e l’Iran. All'interno di questi due contesti culturali apparentemente diversi, abbiamo notato molte similarità. Il progetto è una riflessione fatta in merito a come i sistemi di potere e la religione trasformino e nascondano i nostri comportamenti, abitudini e pensieri. Spesso attraverso piccole parole è possibile arrivare a notare come certi concetti siano talmente radicati nel nostro linguaggio da arrivare quasi a non fare più caso all’etimologia della parola. Ad esempio in italiano la parola “Prego”. Ecco, non facciamo quasi più caso che prego deriva da pregare. Quindi:” Grazie”, “Prego per te”.
Per esempio in persiano arrivederci è “khodafez”.. , “ che Dio ti protegga”.... e via dicendo. “We are I” appunto porta a riflettere di come i sistemi di potere utilizzano il linguaggio al fine di creare una comunità e un senso di collettività. Spesso viene usato il Noi. Ma qualcuno si è mai chiesto chi è e cosa sia questo noi? Chi si identifica in questo “noi”? Quindi questo dialogo tra due performance porta a riflettere su questa piccola ma potente frase “Noi siamo Io”. La performance è ambientata all’interno di uno spazio molto ricco sul piano visivo, un garage dove da tempo si accumulano oggetti, attrezzi e varie cose. Al centro di questo spazio una parentesi bianca dove ha preso luogo la performance. Non era previsto nessun pubblico, voleva essere un atto quotidiano ignorato dal mondo, in quando abituale gesto. Seduto in un’angolo verde, un colore fortemente simbolico in certe culture, e con un piatto che copre la sua faccia, Ahad si sta specchiando eseguendo impercettibili movimenti. Alice è seduta e aspetta che il vento lasci cadere la sua identità fittizia. In un certo senso esiste nella scena un dialogo tra inconsapevolezza e consapevolezza delle manipolazioni socioculturali di cui siamo vittime. La performance si conclude nel momento in cui il velo (simbolico) cade a terra. Rispondendo a cosa l’ha caratterizzata... potremmo dire i movimenti quasi impercettibili che hanno attraversato la scena dall’inizio fino alla fine.

Invasion and vanitas è la vostra personale al MACAO a Milano, una mostra composta da differenti lavori in dialogo fra loro. All'installazione è stata affiancata una performance. Come nasce l'intero progetto?
“Invasion and Vanitas”, dopo aver ricevuto l’invito da una collaboratrice di Macao, il percorso espositivo è nato con l’intento di voler realizzare un progetto site specific e di ridare vita all’Ex macello milanese. La particolare struttura ad arcate dello spazio dell’Hanger ci ricordava un ventre, all’interno del quale prendono forma la vita e il suo contrario. Abbiamo così deciso di pensare al percorso visivo come un dialogo dove i singoli progetti comunicavano e reagivano tra loro, risultando nell’insieme un laboratorio in cui vengono analizzati e studiati comportamenti. Entrando a sinistra Untitled, un progetto sviluppato su tre piccoli bancali che rappresenta la scomposizione di una natura morta. Nel primo a sinistra una composizione di fiori recisi e una candela distorta dal calore estivo. Al centro un piatto di polvere, una natura morta che si mostra nel suo stato avanzato, il futuro. A destra un bicchiere e un bottiglione verde. Al centro dello spazio un mobile la versione gigante delle giostrine acchiappasogni attaccata alle culle dei bambini. Questa struttura è in forte relazione con Untitled e la performance. Oltrepassato il mobile e da background a tutto il percorso, Invasion and Vanitas , l’installazione verde. Gli oggetti quotidiani presenti nell’installazione sono stati interamente smontati, rivestiti di raso verde e cuciti a mano. All’interno di quest’ambiente, un’ipotetica stanza, viene rappresentata l’invasione sottile proveniente dalla società presente all’interno del mostro spazio privato. Così ciò che mangiamo, la cultura, gli oggetti che utilizziamo per proteggerci e ripararci, le comunicazioni, i sogni, ciò che vediamo ed indossiamo sono tutti oggetti che ci autodirezionano. La performance è il momento di analisi del tutto. Identità, invasione e vanità vengono messe in tavola. Stavamo analizzando i diversi sacchetti di polvere che diverse famiglie ci hanno consegnato, con l’intento di analizzare e risalire la provenienza e il contenuto. La polvere è un materiale fortemente identitario al quale siamo molto affezionati. La polvere parla esattamente di noi e di nessun altro. Contiene i nostri capelli, la nostra pelle, residui di cibo, elementi organici e non che fanno parte della nostra vita.Uno di noi leggeva e l’altro annotava gli elementi trovati nella polvere su di un piatto, creando dei piccoli ritratti fatti di parole.

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