sabato 2 maggio 2020

Interview with Aldo Giannotti

Aldo Giannotti, classe 1977, è artista italiano che vive e lavora a Vienna. Il suo lavoro parte dallo spazio, in senso lato, e dalla rispettive relazioni e interazioni con esso attraverso una semplificazione e schematizzazione del progetto. L'artista utilizza il disegno come forma immediata per dare una forma ai suoi progetti prima di passare alla fase di realizzazione ed installazione; questo momento caratterizza la sua ricerca artistica che inizia dall'ambiente che lo circonda. Di seguito l'intervista con l'artista. 

Chi è Aldo Giannotti e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono nato a Genova e cresciuto a Massa, piccola cittadina e provincia nel nord della Toscana. Ho la fortuna di aver sempre avuto la passione per il disegno, i fumetti, l ́animazione e tutto quello che poteva raccontare una storia attraverso le immagini. Credo di non avere nessun ricordo in cui volessi fare qualcosa di differente. Ho seguito gli studi classici all'Accademia di Belle Arti di Carrara, per poi continuare a studiare in Inghilterra e in Germania e infine trasferirmi in Austria, dove risiedo attualmente. Diventare artista (o essere considerato tale) deve essere stato sicuramente parte dei miei obiettivi in passato: oggi francamente non sento l'esigenza di definizioni e lascio agli altri la possibilità di usare questa parola, la accetto per quello che è, la "semplificazione" di un ruolo che mi viene attribuito.

Architettura, disegno e testo: dal progetto alla realizzazione cosa caratterizza la tua ricerca artistica e come avviene il processo?
Credo tutto parta dal guardarmi intorno e cercare possibili variazioni o dissonanze, per raccontare quello che mi circonda: a volte si tratta di spazi - come un'istituzione, un museo le sue regole architettoniche o amministrative - o fenomeni temporali, fatti ed eventi che stiamo vivendo. Ho una naturale inclinazione verso il cercare di ribaltare regolamenti e status quo e trovarci alternative per vedere le cose in modo diverso. Per la sua immediatezza il disegno offre una perfetta plancia dove lasciare il comando alle idee. Se poi ritengo che l'idea possa essere trasmessa in maniera più complessa - non solo quella del medium visivo - trasformo i miei disegni in vere e proprie istruzioni performative, dove l'esperienza fruibile coinvolge più strati e livelli.

Mi racconti del progetto Spatial Dispositions a l' AR/GE Kunst di Bolzano?
Spatial Disposition è un progetto durato circa 4 anni, nel quale ho investigato - da molteplici punti di vista - tutti gli aspetti peculiari e le caratteristiche di tre diverse istituzioni, iniziando dall'AR/GE Kunst, proseguendo con l'Albertina di Vienna e concludendo il percorso coll'OK Center di Linz.
La loro storia, l'architettura, il loro sistema manageriale sono stati gli spunti da cui ho elaborato una serie di 60 disegni per ogni omonima pubblicazione, con lo scopo di riflettere, estendere, ampliare il modo di relazionarsi del visitatore con le medesime istituzioni museali. Ogni libro è stato poi presentato nella rispettiva istituzione all'interno della mostra con lo stesso nome. Recentemente è stato pubblicato un cofanetto rilegato con tutte e tre le pubblicazioni congiunte.



Italian Square è una tua installazione/performance, in cosa consiste e come si caratterizza il progetto?
Italian Square è allo stesso tempo una sculpture e una performance. La piattaforma quadrata allestita nello spazio espositivo ricorda un forum, una piazza, uno spazio che rappresenta un luogo di comunicazione, discussione e rappresentazione pubblica. Questo forum funziona come uno stereotipo culturale dell'architettura urbana italiana, un simbolo storico e in quelle occasioni - in cui viene proiettato e si materializza nello spazio espositivo di un altro paese - inverte i ruoli dei nativi e degli stranieri. L'opera gioca con le regole e le abitudini di un determinato spazio e la sua possibile coesistenza o gioca sui parallelismi.

Hall of the Muse è il tuo lavoro presentato per Albertina Museum: come nasce e come dialoga con il museo viennese?
Dopo la mostra del 2017, l'Albertina mi ha chiesto di sviluppare delle strutture che facessero da protezione ai dieci gessi che si trovano nella sala principale del palazzo e rappresentano le nove muse piu´ Apollo. Ho pensato di alterarne ironicamente il ruolo e illustrarle in chiave più contemporanea.

Dimmi del tuo progetto per il Mumok di Vienna durante questo periodo in quarantena a causa del Coronavirus: cosa lo caratterizza e cosa hai scelto di sviluppare?
In realtà è successo tutto casualmente. Stavo lavorando alla personale per il Mambo dal titolo "Safe and Sound" quando tutto questo è successo. La mostra è stata rinviata a data da destinarsi e mi sono ritrovato a tenermi occupato con questi disegni. Il Mumok (con cui stavo lavorando per un'altro progetto) li ha visti e mi ha chiesto di poterli pubblicare nel loro blog. Altre istituzioni si sono poi aggiunte, proponendomi di collaborare con nuovi disegni, soprattutto pensati per una fruizione online.

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