Caterina Morigi, classe 1991, è artista italiana la cui ricerca è concentrata sui mutamenti della materia dove l'opera si trasforma in relazione allo spazio in cui è collocata. L'artista lavoro su differenti supporti e medium che diventano traccia e parte tangibile di questo mutamento. La mostra Honesty of matter, a Torino, ha raccolto e riassunto il suo percorso degli ultimi anni. Di seguito l'intervista con Caterina.
Chi è Caterina Morigi e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Mi sembra sia stata una lunga naturale transizione, da gioco di bambina a ricerca d’artista, nel tempo molti aspetti si sono affinati, verso l’essenziale, hanno preso la loro posizione. Fino a qui mi ha portata il continuo cercare, con gli occhi, con le mani, nelle sensazioni, spostando sempre lo sguardo senza tregua; ma il "qui" è comunque una condizione dai contorni sfumati, difficile da descrivere a parole. Mi interessano aspetti marginali, o forse sarebbe meglio dire minimi o specialistici. Mi alleno a leggere le superfici come un linguaggio. La pelle delle cose ci racconta infatti molto più di quanto immaginiamo inizialmente, occorre solo guardare con attenzione per decifrare i segni che sono gli stessi a ripetersi da micro a macro, anche nelle strutture. Nell’ambiente, inteso come contenitore dell’esistenza umana, vegetale, minerale, naturale in genere, è possibile estrarre dettagli capaci di trovare eco in altri frammenti di realtà. L’interesse per l’archeologia, poi estesa alla storia dell’arte, mi accompagna da sempre, portandomi a produrre lavori che insistono, interrogano, la categoria stessa di pittura, scultura, fotografia.
La tua ricerca è focalizzata su paesaggio delle soglie, mi racconti in cosa consiste?
La soglia è lo spazio ialino che sta tra gli elementi fisici e tra gli stati incorporei dell’essere, è un duplice aggancio sotto l’influsso di forze opposte, passibile di interpretazione. La soglia è mutevole senza pause. Caterina Benvegnù descrive molto bene questo concetto in relazione con la mia ricerca: Così, nel passaggio processuale della soglia, i particolari micro e macro delle immagini appaiono come elementi in moto costante, in continua sovrapposizione e compenetrazione, tali da confondere lo sguardo che si posa ora su un paesaggio naturale, ora su un dettaglio ravvicinato, senza tuttavia avere coordinate precise. Destrutturando una tipologia di visione monodirezionale, espressa ed esperita univocamente, le immagini diventano esse stesse frammenti di destabilizzazione, capaci di fare della soglia lo spazio in cui ogni cosa – e ogni prospettiva di percezione – può divenire altro da sé. su Caterina Morigi. Honesty of matter, in Caterina Benvegnu, “La vespa e l’orchidea”.
Tornando ad uno dei tuoi primi lavori, 'Quaderni', progetto che hai portato avanti negli anni. Cosa caratterizza questa serie di notebooks e come vengono realizzati?
Quaderni è un continuo errore che viene evidenziato, trascinato in avanti pagina dopo pagina, invece che essere cancellato. Comincio con una forma semplice, geometrica, disegnata e riempita. Nella facciata retrostante e in quelle successive oltrepassa l’inchiostro in piccole macchie impossibili da prevedere, voltando foglio le tracce si rivelano e, con un altro colore, ne evidenzio il contorno. Così fino alla fine del quaderno. Mentre l’inchiostro cade incontrollato tra le pagine con un movimento verticale, come in un pozzo che arriva alla faglia d’acqua attraversando i vari strati di terreno, le macchie si evolvono, allargandosi e restringendosi, prendendo le sembianze di microscopiche forme di vita. I microrganismi trovano nell’acqua il loro elemento vitale, e come l’acqua discende sempre verso il mare, Quaderni cerca il profondo, esplora abissi per riemergere.
I tuoi lavori sono caratterizzati dall'utilizzo di materiali naturali, che "scolpisci" e trasformi senza intaccarne l'essenza stessa così che evolvono nel tempo, come nel caso di 1/1, Portrait o
All’eternar le opere. Trovo un parallelo fra i lavori. Come si collocano all'interno della tua ricerca artistica ed evoluzione?
1/1 è una serie di stampe che guida lo sguardo verso dettagli che svelano l’incessante rapporto di scambio, imitazione e somiglianza tra uomo e natura. In questo lavoro la pelle della pietra – sia quella posata in antichità che quella integra – si fonde con l’epidermide umana, sovrapponendo le rispettive venature, nella formazione di una composizione astratta e illusionistica.
Portrait ribalta invece questo rapporto; l’obiettivo delle due sculture realizzante a controllo numerico è di fregiare la pietra stessa di un proprio ritratto, mettendomi come artista a servizio di essa. Ho selezionato un masso dalla superficie grezza, scartato dal processo produttivo, per riprodurlo in un modello 3D virtuale, poi attraverso punte di diamante artificiale, sono state realizzare le due copie scultoree in pietra. Una posizionata di fronte all’originale, l’altra allontanata di centinaia di chilometri, come accadeva alle statue degli imperatori, spedite ai margini del regno perché potessero essere ammirate. In All’eternar le opere i frammenti di pietra provenienti da Venezia vengono bagnati con particolari inchiostri la cui fluidità permette di penetrare nella materia, sprigionando i cristalli di sale accumulati nella roccia a causa del microclima lagunare e di altri fattori degradanti. Ho agito sul materiale rocciosa facendone risaltare la struttura, le crepe e i frammenti, quindi il suo processo di erosione. Negli elementi in pietra, seppur allontanati da Venezia, il veloce deperimento non ha fine.
Nei tre lavori è presente la pietra, presa come soggetto e come escamotage per parlare del rapporto tra uomo e natura in relazione al tempo, ma con diverse accezioni; 1/1 resta sul piano della rappresentazione, in una sorta di collage bidimensionale tra lapideo e umano. Il collante è il passare del tempo che su di essi si stratifica, aumentando la complessità delle trame. (Ma l’installazione in sé non è così mutevole, si tratta di una stampa su porcellana.) Portrait invece, essendo reinserito in un ambiente naturale, e non applicando sforzi per la conservazione, continua a subire l’incursione del tempo, in un’atmosfera che si potrebbe descrivere con le parole di Marguerite Yourcenar2 in Il tempo grande scultore: Dal giorno in cui una statua è terminata, comincia, in un certo senso, la sua vita. È superata la prima fase, che, per l’opera dello scultore, l’ha condotta dal blocco alla forma umana; ora una seconda fase, nel corso dei secoli, attraverso un alternarsi di adorazione, di ammirazione, di amore, di spregio o di indifferenza, per gradi successivi di erosione e di usura, la ricondurrà a poco a poco allo stato di minerale informe a cui l’aveva sottratta lo scultore.
Non parlerei quindi di "scolpire" o "disegnare" con le mie mani, ma di una sorta di maieutica della materia, così come accade anche per All’eternar le opere, in cui la magnifica città costruita sull’acqua con preziosi marmi, si rivela un essere corporeo. I blocchi di pietra si frammentano in scaglie polverose, i cristalli di sale, contenuti fino ad ora silenziosamente nella materia, sbocciano ultrapotenti. Come frattali la geografia microscopica della sostanza si manifesta, raccontata dall’inchiostro, che – reso agente di contrasto – colma fiumi e pori. Non vi appartiene più la solidità e l’impenetrabilità che si direbbe della pietra.
La tua personale a Villa della Regina, Torino, Honesty of matter riassume la tua ricerca ad oggi. Mi racconti come nascono i lavori e cosa li caratterizza?
La mostra Honesty of Matter - Sincerità della materia (25 ottobre - 22 gennaio 2020), è una personale su due sedi a Torino, in concomitanza con Artissima 2019. L’artist-run space Mucho Mas! e Villa della Regina, in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte, hanno accolto due installazioni sul tema del reciproco rapporto di imitazione e somiglianza che sussiste tra uomo e natura, con una particolare attenzione alla materia e alle tecniche artigianali, utilizzate per la mimesi. Sono parte integrante del progetto la collaborazione con la Real Fabbrica della porcellana di Capodimonte, per Sculture, e l’aiuto dell’Associazione del Marmo Artificiale di Rima con il Maestro Simone Desirò, per Sectilia. La porcellana è una materia preziosa, difficile da lavorare perché restituisce ampliati, in fase di cottura, gli errori commessi durante la modellazione. Per ottenere il risultato desiderato occorre lavorarla in maniera sapiente dopo una lunga sperimentazione; ma il nome del progetto prende spunto anche dall’accezione napoletana del termine "sincerità": di solito è un frutto ad essere sincero, quando lo si addenta e la sua bellezza è rispecchiata dal gusto.
La tecnica piemontese del marmo artificiale di Rima è incredibile per altri aspetti, che possono essere colti solo dall’esperienza con la materia; la lunga progettazione è seguita dalla realizzazione, che avviene posizionando gli impasti di scagliola, pigmento e colla animale all’interno di forme lignee. Segue un momento di oscurità e totale astrazione, poi la superficie viene alla luce, le forme pensate appaiono distinguibili e riconducibili alla pietra. Questo istante può essere paragonato al processo di rivelazione della fotografia analogica. Infine per arrivare al classico effetto di lucentezza del marmo autentico, essa prevede una fase di lucidatura che si ottiene accarezzando la superficie piana con 7 diverse pietre naturali, dalla pomice fino all’ematite. Sui muri bianchi di Mucho Mas!, ambiente industriale rivitalizzato da Silvia Mangosio e Luca Vinello per la fotografia contemporanea, Sectilia riprende gli opus sectile di epoca romana (I-IV secolo d.C.). In questo metodo decorativo – un mosaico per silhouette – l’incarnato umano veniva rappresentato utilizzando tipi specifici di marmo colorato. Dopo averne studiato le caratteristiche, ho elaborato un’interpretazione degli elementi lapidei con la tecnica del marmo artificiale. Le piccole tessere originali sono ingrandite a dimensioni umane e disposte nello spazio. Le sculture esposte a Villa Della Regina interrogano invece lo spazio elastico tra copia e originale, per capire cosa esso inneschi nell’osservatore. Tramite dispositivi progettati appositamente dalla designer Sara Ricciardi, sassi raccolti dal suolo e piccole sculture di porcellana si confondono tra loro, in maniera differente l’uno dall’altro. Nel palazzo reale della precollina torinese, le decorazioni interne rispecchiano la vegetazione circostante; l’esterno naturale è stato riportato all’interno delle ricche stanze, così io ho agito mostrando nel salone Juvarriano elementi lapidei che richiamano le grotte artificiali, del giardino antistante visibili dalle ampie vetrate.
La casa, il palazzo, con le sue stanze, in psicologia sono il simbolo della personalità, vorrei associarmi a questa visione nel dire che la natura ci appartiene, non nel senso di possesso materiale, ma come metafora della ricerca di sé stessi. La natura ci appartiene finche la guardiano ed anche perché ne facciamo parte.
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