Chi è Martina Zanin e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare fotografa?
Che domanda complicata! Chi sono lo sto ancora scoprendo. Sono in continua evoluzione. L'unico punto fermo che ho dall'età di 16 anni, è la fotografia. Da bambina passavo da un'interesse all'altro, ho sperimentato con la pittura, la scrittura, e la musica - suonando per alcuni anni batteria e basso. Ho sempre lasciato tutto a metà, e nessuno, neanche io, credeva che qualcosa mi avrebbe appassionata per più di qualche mese. Invece alla fine in parte è successo. Ho iniziato gli studi di fotografia subito dopo il liceo e li ho continuati per 5 anni consecutivi, terminando con un Master in Fotografia Contemporanea a Madrid. Dico in parte, perché nonostante la fotografia sia sempre presente all'interno della mia ricerca artistica, negli ultimi anni la associo sempre ad altri media, che siano la scrittura, il materiale d'archivio, il video, o il suono. Mi annoio facilmente - in questo non sono mai cambiata - per questo motivo credo di essere più incline ad un approccio multimediale, perché è vario e stimolante.
La tua ricerca fotografica è legata ai tuoi rapporti, ricordi del passato e sentimenti che rivivono nei tuoi scatti; cosa la caratterizza?
Le esperienze personali sono una costante ispirazione per la mia pratica artistica, soprattutto l’infanzia, i ricordi, e le relazioni familiari. È una necessità. Anziché distaccarmi da eventi traumatici, o provare ad affrontarli in modo razionale, tendo a ripetere questi eventi per tirarne fuori determinate emozioni e sensazioni, nel tentativo di trasmetterle. Per raggiungere questo obiettivo, come spiegavo nella risposta precedente, uso la fotografia unita ad altri media, tra cui scrittura, materiale di archivio, video e suono. Quando lavoro alla sequenza delle immagini ricerco sempre delle associazioni fra di esse, che siano visive o concettuali; c'è sempre una combinazione tra istinto e logica - anche quando scatto. All’interno della mia testa le fotografie si trasformano in immagini in movimento, gli faccio prendere vita oppure mi teletrasporto all’interno di esse. Cerco di creare immagini, e cortocircuiti fra di esse, che possano colpire a livello sensoriale, facendo accedere il fruitore a nuovi livelli di lettura di un'immagine, attivando gli altri sensi attraverso la vista.
Mi racconti il progetto I Made Them Run Away e e il relativo libro?
"Com'è possibile che li fai scappare tutti?". Questo urlava mia madre, dandomi la colpa per la fine delle sue relazioni, e da qui il titolo del lavoro. I Made Them Run Away, intreccia fotografie, immagini di archivio, e testi, ripercorrendo il ricorrente complicato rapporto tra me, mia madre, e l"uomo" - una figura multipla e non costante, che nel lavoro è presente come un'assenza. I Made Them Run Away è un’esplorazione sulle dinamiche delle relazioni, come il bisogno di attenzione, le aspettative che causano disillusione e insicurezza, e la transizione dei sentimenti come compassione e rabbia, amore e odio. La continua ricerca di un partner da parte di mia madre l’ha portata a conoscere e a farmi conoscere, dozzine di uomini differenti. Mi sono chiesta quanto queste relazioni avessero potuto influenzare il modo di relazionarmi con gli uomini e la percezione che ho di essi. Fantasticando su di un uomo che non è mai riuscita ad avere, mia madre ha scritto pensieri e desideri all’interno di un libro/diario intitolato Lettere Ad Un Uomo Mai Avuto, indirizzato ad un uomo immaginario, a quell’amore che non è mai riuscita a trovare nella vita reale. Gli scritti poetici, estrapolati dal diario, si scontrano con le immagini di archivio che portano il segno di un gesto pieno di rabbia e sofferenza. Mia madre strappava queste fotografie alla fine delle relazioni, rimuovendo l’ex-ragazzo o ex-marito e preservando solamente la sua figura o la mia all'interno degli album di famiglia. Ogni altra foto è la ricostruzione e l'espressione di emozioni e sensazioni passate venute a galla nel presente. Sensazioni che non sono nient’altro che ricordi. Sono poche sono le immagini che posso ripetere nella mia testa, soprattutto provenienti dall’infanzia e dall’adolescenza. Trovo molto più naturale esprimermi creando degli immaginari visivi che possano rappresentare le sensazioni collegate ad eventi passati. Il progetto è stato pensato fin dall'inizio sotto forma di libro, essendo il mezzo e contenitore perfetto per racchiudere i vari livelli di lettura, i punti di vista, e i diversi media. Sulla copertina si ritrova subito una connessione tra oggetto e contenuto, sia visivamente che concettualmente. Lo strappo è una perdita di delicatezza - anche riferita all’infanzia - una crepa nelle fondamenta, una ferita fisica e mentale. Ho realizzato ogni strappo personalmente, per ogni copia, ognuna ha una forma differente. Ho ripetuto questo gesto compulsivo, come mia madre ha fatto sulle fotografie di archivio, creando ancora una volta una connessione ed un dialogo tra me e lei. Il libro è da intendersi come un corpo, da qui la sua forma delicata e morbida, che si ritrova anche nella scelta della carte e dei colori. È un corpo con i suoi segni, pori e cicatrici; infatti la carta della copertina ha una texture particolare, vellutata, che ricorda la pelle. All’interno del libro le foto sono intrecciate alle immagini di archivio, e le lettere sono inserite all’interno come inserti di dimensione ridotta che coprono parte di alcune foto. Ogni elemento interagisce con gli altri creando associazioni e un dialogo tra me a mia madre, tra passato e presente, sullo stesso vissuto. La delicatezza apparente del libro viene contrastata dalla violenza, dalla tensione, sofferenza e sessualità che sono espresse attraverso le fotografie.
Il progetto Older Than Love, (from the research for the project Please, don’t ever come down, 2020-21), ha vinto Cantica21, come nasce?
Older Than Love è un'installazione che introduce il nuovo progetto al quale sto lavorando, ovvero Please, don't ever come down. Questa volta prendo come punto di partenza il rapporto complicato con mio padre sviluppandolo attraverso la metafora del falco con la preda per affrontare il tema dell'aggressività all'interno delle relazioni affettive. L'idea di creare questo parallelismo tra uomo e animale, è nato dalla passione ereditata inconsciamente da mio padre per i falchi. Avendo avuto sempre un rapporto intermittente, nei periodi di assenza mi rendevo conto di ritrovarlo, o ricercarlo, attraverso alcuni elementi, tra cui il falco. Se lui è il falco, io sono la preda; per il suo modo aggressivo e psicologicamente violento di relazionarsi con me. Older Than Love si compone di fotografia, immagini di archivio, video, e suono. Le fotografie e le immagini di archivio formano un dittico in un'unica foto creando un parallelismo visivo tra la figura di mio padre e il rapace, ma anche intensificando determinate sensazioni che voglio trasmettere. Il video, invece, è un montaggio di due punti di vista: quello del rapace e quello della preda fino alla cattura, riprendendo la scena dalle prospettive dei due animali. L’audio dell’opera è un pezzo a sé, infatti non è collegato al video, ha un’altra durata e una natura differente. Si tratta di un collage di registrazioni durante conversazioni, discussioni; frasi del giornaliero ripetute con toni severi, o freddi, distaccati. Sempre con una ripetizione in loop, come per il video, ad un primo impatto sembra non avere nessun senso con quello che si ha davanti agli occhi e risulta disturbante. Pian piano quelle parole e quel tono, che avvolgono l’installazione dall’alto, entrano nella testa e si percepiscono a malapena. Ti abitui a quell’aggressività, a quella freddezza nei toni; si trasforma nella normalità. L’audio lavora a livello psicologico, focalizzandosi su come comportamenti apparentemente normali possano essere interpretati negativamente, e come comportamenti negativi possano invece essere normalizzati.
Nessun commento:
Posta un commento