Chi è Nero/Alessandro Neretti e il percorso che ti ha portato a diventare artista?
42 anni, romagnolo di nascita, veneto dal 2018, critico osservatore della condizione contemporanea, produttore di manufatti di vario genere, tangibili e non, atti ad incantare, destare, turbare ed accendere lo spettatore. Il percorso che sto facendo per diventare artista é iniziato nel 1994 quando mi sono iscritto all’Istituto G. Ballardini di Faenza, poi una gavetta infinita con diverse soddisfazioni professionali che però sono sempre passaggi e mai un reale approdo… a scuola facevo un sacco di concorsi per portare a casa qualche soldino, era remunerativo e divertente, soddisfava i miei bisogni, ho sempre amato la materia e i materiali, curioso, voglioso di dedurre, penso sia nato tutto lì, dentro quella scuola, il resto lo ha fatto la strada e le tante esperienze che la vita ti propone. Ora continuo a fare questo lavoro perché mi sostiene e perché amo la parte creativa, quella delle idee. Dedicandomi esclusivamente a progetti site-specific il lavoro mentale é sempre stato una specifica importante; me ne sono accorto solo negli ultimi anni, quando, con piacere, ho notato che la fantasia ed un senso di visione e progettualità fluidi continuavano ad essere estremamente presenti, sia quando faccio i sopralluoghi che quando cammino semplicemente per strada. Mi piace vivere per le mie idee e per il mio operato. Adoro trovare il punto di svolta, la rivoluzione Copernicana nei rebus espositivi, nelle architetture, giocando con i materiali e con la tecnica, escogitare la soluzione dell’opera. Quel momento vibrante che dal cervello esplode nel cuore, rifonde mille patimenti in un attimo, eleva, non é solo eccitazione, é puro godimento. Il problema é che spesso si palesa stampandomi in faccia una risatina sarcastica da ospedale psichiatrico. Ma comunque, che godimento.
La copia e l’originale caratterizzano la tua ricerca, attraverso l’utilizzo della ceramica, cosa contraddistingue questa parte del tuo lavoro e come si relaziona con la parte site-specific? Come nascono i progetti che coniugano entrambi gli aspetti?
La copia e l’originale sono per me una metodologia assodata dalla fine degli anni ’90. La riproducibilità seriale di un soggetto, poi reso unico da assemblaggio e modificazioni, era per me il 25% della mia produzione artistica (il resto era modellazione, disegno/pittura e fotografia). Dalla fine del 2007 ho deciso di realizzare solo progetti e opere site-specific, in dialogo con l’architettura, le collezioni pubbliche e private. La ceramica é entrata in questi progetti con svariate metodologie e tecniche, ma, come ogni altro media, non ne ho mai forzato l’impiego, è stata utilizzata esclusivamente quando necessario. A mio avviso ogni messaggio ha bisogno di un materiale ben preciso.
Cito alcuni casi esempi dove la ceramica si è sposata a interventi site-specic: il grès porcellanato della Florim inserito nell’installazione che ha vinto il Premio Faenza (Museo Internazionale delle Ceramiche - 2013) e quello del Gruppo Romani utilizzato per il progetto PLANET EARTH esposto a CASABELLA laboratorio (Milano - 2018); le terraglie opache che sposavano il cemento del museum Beelden aan Zee dove ho presentato il vasto progetto Life is a burning tire (Scheveningen/L’Aia - 2017) fino alla bianche terraglie coperte da nylon prodotte per ABOUT CLAY (Copper Smithy space, Fiskars/Finlandia - 2018) poi esposte alla Korea International Ceramic Biennale (Gyeonggi Ceramic Museum, Gwangju/Corea del Sud - 2021) ed acquisite con la menzione d’onore dalla Korea Ceramic Foundation … ma anche la porcellana cruda dell’opera relazionale presentata alla Jingdezhen Biennale (Art Avenue Art Museum Jingdezhen/Cina - 2021) risponde per caratteristiche alla tua domanda.
Mi parli di GOLFO MISTICO progetto site-specific per il Mart a Rovereto sotto la cupola di Mario Botta?
Urca, ci sono ancora dentro! :) Probabilmente la produzione che più ha messo a rischio la mia arte e per ovvia conseguenza la vita stessa. Progetto considerato folle ed irrealizzabile si é poi palesato come estremamente visionario e fattibile. Come una spiaggia percepibile allo sguardo ma di cui era difficilmente valutabile l’approdo. Il nome del progetto (una vasta installazione multisensoriale) si ispira ai teatri di tradizione in cui il golfo mistico è lo spazio riservato all’orchestra (la cosiddetta buca) situato tra il palco e la platea. GOLFO MISTICO nasce dal rapporto con l’architettura dell’Arch. Botta, la piazza sotto la cupola é di fatto un golfo all’interno dell’architettura, come un golfo é uno spazio protetto dalle intemperie che permette di guardare fuori. GOLFO MISTICO quindi é il dialogo con l’architettura, una insenatura naturale in cui trarci in salvo dalla tempesta, ma anche e soprattutto un bisogno, una sensazione, un sentimento in cui rispecchiarsi, in cui sentirci al sicuro, una fase in cui prepararci ad affrontare un nuovo cammino ed una nuova sfida. Il progetto nasce dall’idea di tamponare le 50 aperture del matroneo che circondano i 40 metri di diametro della Piazza interna del Mart, trasformandola in quello che io, con ironia, ora chiamo matroNero. :) Sfruttando l’incredibile architettura ho stratificato il progetto per livelli. Come anticipato, ho realizzato 50 bassorilievi in materiali misti (semire Cecchetto, abete, acciaio e ferro, ossidi, legno di recupero) nella parte alta, ispirati a lavori grafici e scultorei che realizzavo tra la fine degli anni 90 e i primi 2000. Al centro, nella fontana, una serie di materiali da costruzione preparano il basamento per due elementi: una copia del David di Donatello, realizzata in bronzo, da me modificata (ispirata alle opere realizzate tra il 2008 e il 2020) e un elemento tecnologico, un faro che di notte ha il compito di illuminare tutta la circonferenza del Mart. Il terzo livello é l’elemento sonoro (realizzato in collaborazione con Andrea Nonni) che irrompe all’interno della Piazza del Mart, è la sirena di una barca all’ingresso del porto che suona ripetutamente (10:00, 14:00 e 18:00) imponendo lo straniamento nell’osservatore, portando il GOLFO MISTICO tra le montagne trentine.
Al museo Carlo Zauli hai presentato la performance/istallazione Robinæ (the one man factory), come nasce il progetto e come si è svolto?
Da oltre quindici anni provo una passione sfegatata per l’architettura, quella precaria, di sopravvivenza, ai margini. Il progetto, come spesso capita, nasce da un invito, dalla voglia di edificare assieme un pezzo di percorso. Volevo costruire un’architettura produttiva/abitativa minima che potesse ospitare una mia performance relazionale. Prima di cominciare mi sono dato un vincolo legato al tipo di materiale, per essere quanto più “estremo” ed avere il minor impatto ambientale possibile. Per creare la struttura ho utilizzato esclusivamente materiali riciclati, già presenti nel mio studio e nel mio archivio di materie recuperate: una base costruita su di un piccolo pallet 60 x 80 cm, illuminazione e sistema di raffreddamento ad aria, un vecchio tablet incorniciato da legno che proponeva in loop le immagini di progetti eclettici, una piccola libreria con le tante pubblicazioni personali … L’approccio, del fruitore, tra stupore e gioco, avveniva nei primi istanti con una richiesta molto particolare. Chiedevo all’avventore di raccontarmi un segreto, che in seguito trasformavo in macchie di colore e forme minime, disegnate su una cartolina, una edizione non firmata ma timbrata "nero Robinæ production" con cui certificavo l’esperienza della "one man factory”. Laura Rositani, poco tempo fa, durante uno studio visit poneva il punto su un particolare, su una modalità per me del tutto naturale all’interno della mia ricerca; mi faceva notare come le mie installazioni, le mie sculture ed i miei progetti avessero sempre una base relazionale, di dialogo aperto con l’osservatore. In questo progetto la relazione, la fiducia, il divertimento, la passione, non sono semplici parole ma la realtà. Lo scopo principale era quello di accorciare la filiera tra committente ed artista, mostrare la via semplice ed elementare al mecenatismo, una transazione immediata tra pensiero ed opera. Chiudo lasciandovi con alcune parole di Aldo Nasser su questo progetto: “Uno spettacolo, fantastico, incredibilmente divertente e, come sempre, ben fatto. Nero butta una pila di spazzatura in un museo, ci si infila dentro e contamina in un attimo tutto, ti propone il dialogo, propone un scambio, un dono. Reale, semplice, potente, una performance che non ti aspetti da uno che dimostra sempre potenzialità e tantissimo da condividere"
Nessun commento:
Posta un commento