Chi è Cristian Chironi e qual’è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
“Cristian Chironi è uno a cui piace squattare” le case di grandi architetti sparse in tutto il mondo - da Le Corbusier a Pierre Jeannerret; da Alejandro Bustillo a Tadao Ando - usando l'abitare come linguaggio artistico e viaggiando a bordo di una FIAT 127 Special, ribattezzata Camaleonte per la sua capacità di cambiare ogni volta i colori. La scelta di questo veicolo è per certi versi simile al percorso d’artista, che nasce da un incitamento ad andare e sentirsi abitante del mondo, confrontandosi con culture, tecniche e costumi diversi. Creando lavori che si basano principalmente sull’idea di transito, attraversando geografie dove incrociare storie personali e collettive. Attualmente vivo a Città del Messico, in Villa Olimpica, un complesso residenziale progettato dagli architetti González Rul, Ortega Viramontes, Hernández Navarro e Torres Martínez, costruito nel 1968 per i Giochi Olimpici. Si trova a sud della città, accanto accanto alla Ruta de la Amistad di Matias Goeritz, alla Ciudad Universitaria progettata da Mario Pani ed Enrique del Moral e allo Stadio Olimpico, quest’ultimo considerato da Frank Lloyd Wright l'edificio più importante dell'America moderna.
L'architettura è presente in numerosi dei tuoi progetti, che ruolo svolge all'interno della tua ricerca?
L’architettura è un opera d’arte da abitare e ciò per me significa vivere fisicamente all’interno dell’opera. Abitare è essenzialmente praticare l’invenzione del quotidiano, citando lo scritto di Silvia Fanti intitolato Chironautica, che tanto mi piace, pubblicato nel libro I’m Back (Postmedia 2018) realizzato per la mostra al Museo Nivola. Una pratica che accoglie il visitatore e usa la costruzione come punto di osservazione per capire in che condizioni si trova oggi la casa degli uomini. Non sono un esperto di architettura e non mi interessa esserlo, ciò mi permette di sperimentare l’architettura e di viverla, cercando sempre l’interazione con il contesto, sia esso umano che ambientale.
Mi racconti come nasce il progetto Drive?
La performance Drive nasce utilizzando la Fiat 127, da me personalizzata usando gli accostamenti cromatici tipici delle case di Le Corbusier in cui vivo. La decisione di usare quest’auto prende spunto da un aneddoto che mi fu raccontato da Daniele Nivola (nipote dell’artista Costantino Nivola amico e collaboratore di Le Corbusier). Sia io che i due Nivola siamo di Orani, un piccolo paese al centro della Sardegna. Nei primi anni Ottanta Costantino Nivola, ormai malato, scrive una lettera da New York a Daniele, chiedendogli di andare nella sua abitazione in Toscana, in un ultimo tentativo di riportare le sue cose a Orani, tra cui l’auto. Daniele si imbarca in un passaggio ponte dal porto di Golfo Aranci verso Civitavecchia e poi Dicomano. Un volta sul posto prende ciò che trova, caricando la roba nel piccolo bagagliaio dell’auto.
Alla mia domanda “e che cosa avete riportato a Orani?”
Daniele mi rispose “due manifesti artistici di Steinberg… opere di Pintori, Fancello e Maria Lai… e naturalmente i Nivola. Alla fine ho anche lasciato altre cose Non ci stava tutta la roba nella macchina.” C: “E’ che auto avete usato?”
D: “Una Fiat 127 color amaranto! Che era l’auto di Costantino”.
Daniele si imbarca dal porto di Civitavecchia con questa Fiat 127 carica di opere d’arte, facendo rientro a Orani ignaro di quello che stava trasportando.
D:“ Eravamo tonti… Adesso abbiamo la consapevolezze ma al tempo….”
A distanza di molti anni da quel viaggio, ho deciso di riutilizzare la Fiat 127 con un gesto artistico e performativo, in un viaggio fatto di partenze e ritorni, di corrispondenze generazionali, di incontri e visioni immaginarie registrate dal finestrino. Ogni performance, è aperta ogni volta a tre passeggeri, che si uniscono a me e a una selezione di diversi copiloti. Il Drive coinvolge i passeggeri in una conversazione che fa luce sul percorso intrapreso, occupandosi di problemi abitativi e sottolineando le questioni della mobilità in relazione a diversi aspetti nel contemporaneo. L’abitacolo dell’auto viene così trasformato in una piattaforma itinerante per incontri e conversazioni e invita il passeggero a partecipare a un momento di dialogo e scambio. Sul sito web di Magazzino Italian Art è possibile vedere il video di New York Drive.
Quali sono state le tappe del progetto?
Ad oggi le tappe del Drive sono state a Bergamo e Brescia, per la designazione a capitali della cultura 2023, in collaborazione con il Teatro Grande di Brescia e la Fondazione Pio Manzù di Bergamo. A New York per Magazzino Italian Art. Tra diversi paesi della Barbagia di Sardegna, per il Festival Abitare Connessioni. In Svizzera a La Chaux- de-Fonds, città natale di Le Corbusier, con il Centre de culture ABC, far° Far Festival des arts vivants Nyon e l’ Association Maison Blanche di Le Corbusier. Poi ancora a Bolzano con il Museion. A Marseille per Manifesta 13 Les Parallèles du Sud. A Orani per la Municipalità. Milano, in collaborazione con il festival FOG Triennale Milano Performing Arts e la fondazione ICA. Nel lontano 2019 a Bologna, per Oplà. Performing Activities – con collaborazione tra Arte Fiera e Xing.
Le prossime tappe saranno il 9 Settembre a Prato, con i drives organizzati da ChorAsis (Lo spazio della Visione) e il comune di Prato; Ottobre ad Ivrea, nello spazio Olivetti, all'interno del piano strategico promosso da ICO Impresa sociale che si occupa della valorizzazione del sito che ha ricevuto la nomina Unesco.
La “Camaleonte” è stato poi parcheggiata in modalità installazione sonora in diversi spazi, tra cui Morton Street Partners a Manhattahn; Magazzino Italian Art a Cold Spring; nella casa-atelier dello studio KSV per il Museion di Bolzano; sotto i pilots dell’ Unitè d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia; nel garage della Fondazione ICA; all’Ex Palazzo delle Dogane a Verona; in quello che fu lo spazio di Marsèlleria permenet exhibition a Milano; e nel 2018 al Museo Nivola. In tutti questi posti è stato possibile ascoltare dallo stereo dell’abitacolo dell’auto, una serie di composizioni sonore prodotte appositamente per la Camaleonte e il progetto My house is a Le Corbusier, realizzate in collaborazione con diversi musicisti e sound artist: Francesco Brasini, Chœur de Radio France, Alessandro Bosetti, Massimo Carozzi, Daniela Cattivelli, Dominique Vaccaro, Henrik Svedlund, Stefano Pilia, Luciano Maggiore, Francesco Serra, Sophie Vitelli, Paolo Fresu.
La tua ultima mostra è stata LC postcard collection al MAC di Lissone, tornando al 2015 My house is Le Corbusier a Bologna, come sono nati questi progetti legati all’architetto?
Centra sempre Daniele, anche qui con un aneddoto tratto dalla stessa conversazione avuta insieme nel 2010. Nella seconda metà degli anni Sessanta, Costantino Nivola, di passaggio a Orani affidò alla famiglia di Daniele, in procinto di costruire una nuova casa, un progetto di Le Corbusier, con l’auspicio che seguissero scrupolosamente le istruzioni contenute all’interno. L’importanza di questo lascito non fu però recepita. Tempo dopo Costantino, rientrato da Long Island, notò che la casa costruita non corrispondeva affatto alle caratteristiche del progetto che, a detta di tutta la famiglia “non aveva né porte né finestre e assomigliava più a un tugurio che a una casa”. Daniele mi disse “noi dovevamo sposarci e costruire una casa e volevamo una bella casa e questa aveva i soffitti bassi”. La moglie Maria seduta accanto a noi aggiunse: “Senza porte poi…”. Costantino Nivola reagì riprendendosi quel progetto, di cui oggi non si conosce più il destino. Prendendo spunto da questo episodio risposi ad una chiamata della Fondation Le Corbusier, inviando l’intervista di Daniele chiedendo di ragionare sullo scollamento tra opera e fruitore, con una serie di relazioni nel contemporaneo, legate al concetto di comunicazione, lettura e interpretazione. In più con la richiesta di vivere nelle case di Le Corbusier presenti su dodici paesi sparsi al mondo, per capire come oggi è recepita l’ eredità dell'architetto e usare queste case come pretesto per capire in che condizioni si trova il mondo. Inoltre, essendo cresciuto in un periodo storico di difficile e precaria stabilità economica e nell’impossibilità a possedere una casa di proprietà mi prendevo con questa richiesta la libertà di abitare le case di uno dei più grandi architetti di sempre. La Fondation Le Corbusier inizialmente non mi prese molto sul serio. Ad oggi ho abitato le case di Le Corbusier in sei diverse nazioni: Italia; Francia; Argentina; India; Germania; Svizzera; e per concludere il progetto prenderò residenza in Belgio: Giappone; Massachusetts; Tunisia; Iraq; Russia. La prima tappa di questa geografia è stata il Padiglione Esprit Nouveau a Bologna, nel 2015, con una resa dell’architettura attraverso il racconto e la presa diretta della sua dimensione spazio temporale, in cui il visitatore è stato invitato a fermarsi a bere un caffè. Uso Le Corbusier come uno strumento per il mio lavoro, così come uso Costantino Nivola o Pio Manzù (designer della Fiat 127), per parlare fondamentalmente di cose che appartengono alle problematiche del tempo che viviamo oggi. Anche il lavoro per il MAC di Lissone si basa su questo concetto. Con un progetto che usa materiale proveniente dall’archivio della Fondation Le Corbusier, che gentilmente me lo ha concesso. LC postcards collection è una video installazione a tre canali di cartoline collezionate da Le Corbusier nel corso della sua vita. Una raccolta che è da considerare come un’importante fonte di ispirazione da collegare con gli altri suoi strumenti di ricerca e creazione. Un lascito visivo di immagini tra monumenti, architetture, paesaggi, opere d’arte, mezzi di trasporto e città di tutto il mondo, con una sostanziosa raccolta dall’Italia. Un patrimonio visivo di immenso valore che tolgo dal possesso “lecorbuseriano” per creare un viaggio visivo, temporale e geografico, in cui immergersi tra sconfinamenti e visioni immaginarie, accompagnati da una serie di composizioni sonore.
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