Giovanni Ozzola, classe 1982, è un artista multidisciplinare che all'interno della sua pratica utilizza differenti media espressivi. Una profonda sensibilità verso il fenomeno della luce e le sue diverse caratteristiche fisiche attraverso la concettualizzazione e la rappresentazione dell'infinito e dell'esplorazione, sia geografica che introspettiva caratterizzano la ricerca dell'artista che pone lo sguardo verso un luogo Altro. Di seguito l'intervista con l'artista dopo la sua recente personale presso Galleria Continua e Manifattura Tabacchi.
Chi è Giovanni Ozzola e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Quando mi chiedono perché ho scelto di essere un artista, penso al mio percorso come a un fluire inaspettato di incontri e avvenimenti che hanno plasmato la mia vita. Non c'era una strada già tracciata: sin dai miei sedici anni, quando ho iniziato a vivere da solo, ho seguito un percorso che si dipanava di fronte a me. Ancora molto giovane mi spostai a Londra per lavorare, la è dove ho ricevuto un suggerimento inaspettato che ha cambiato tutto. Un incontro fortuito mi ha spinto a condividere le mie immagini con il mondo. Da lì, ho incontrato Pier Luigi Tazzi, critico e curatore d’arte, il cui contributo ha plasmato il mio cammino artistico. Ogni passo ha aperto nuove strade e sfide, culminando nella mia prima mostra e portandomi fino a questa intervista, dove rifletto sul mio percorso.
L'ignoto è il tema attorno a cui ruota la tua pratica, una mappatura per darvi forma. Mi racconti come nasce la tua ricerca e cosa la caratterizza?
Per spiegare la genesi della mia ricerca partirei, così da offrire una chiave pratica di lettura del mio pensiero, dalla mostra a cui sto lavorando con molta cura in questo periodo e che avrà luogo a Londra nel prossimo mese di giugno. Mentre annotavo su un mio quaderno, ho riflettuto sull'idea di "io" come un punto di partenza e come un orizzonte da esplorare. Il viaggio verso se stessi, non è forse questo il viaggio verso l'orizzonte? Questa è una riflessione che affonda le sue radici nella notte dei tempi: sin dall'alba dei tempi, l'umanità ha avvertito il bisogno di lasciare un segno tangibile del proprio passaggio, come un'incisione rupestre, per definire la nostra esistenza e affrontare l'ignoto.
Questa è una riflessione che affonda le sue radici in un passato lontano: da sempre l'umanità ha avvertito il bisogno di lasciare un segno tangibile del proprio passaggio...
L'ignoto si manifesta in molteplici forme: può essere personale, geografico o collettivo. Tuttavia, la radice di questa necessità è la stessa: il desiderio innato di definirsi, di conoscersi o almeno tentare di comprendersi, sia come individui che come parte di una comunità. Ed è proprio tramite la mappatura di questo ignoto che mi trovo quasi a tracciare una mappa di territori inesplorati, cercando di dare forma e significato a ciò che ancora sfugge alla comprensione. Domande come "chi sono?" e "dove sono?" costituiscono il motore della nostra esistenza e delle nostre azioni quotidiane. Anche coloro che trascurano tali domande, per superficialità o per una sorta di snobismo, continuano inconsciamente a cercare risposte. È qui che si forma la nostra consapevolezza e che possiamo incontrare gli altri, poiché il concetto di "io" e "tu" non può esistere separatamente. Questo non è un individualismo miope, ma piuttosto una ricerca di consapevolezza per incontrare gli altri. È solo così che nasce la condivisione, con molteplici punti di vista che contribuiscono alla comprensione della realtà. La conoscenza reciproca ci avvicina alla verità, poiché abbiamo bisogno di individui, non di semplici seguaci. Questa è la grande differenza tra un gruppo e un gregge: individui consapevoli o che almeno cercano di esserlo rispetto ai followers. Con il mio lavoro artistico, cerco di definirmi e di definire il mondo che mi circonda. Questa è la dualità dell'attrazione e della paura dell'ignoto, due forze contrastanti che ci spingono e ci trattengono, ma che possono portare ad un equilibrio. Sotto questa luce, leggo i miei lavori. Tuttavia, ogni opera è indipendente e autonoma, poiché i simboli che vi sono presenti parlano ad ogni individuo in modo diverso, sussurrandogli un segreto unico.
I tuoi paesaggi portano lo spettatore ad un viaggio interiore, portando a porre lo sguardo oltre l'opera. Qual'è il processo che porta alla nascita delle opere o come si relazione con il pubblico?
Il mio approccio e processo creativo sono sensibilmente cambiati nel corso degli anni. Un po' per l'esperienza acquisita, un po' perché in generale si cambia, le energie e gli interessi cambiano e i pensieri si evolvono. Tuttavia, la genesi di ogni lavoro è caratterizzata da un istante di intuizione, di chiarezza, un barlume di lucidità che si dissolve rapidamente ma in cui intravedi qualcosa. Inizio quindi a inseguire quel barlume di qualcosa di significativo, lo cerco e lo proteggo sviluppando la mia visione fino a dargli vita propria, dotandolo di autonomia e forza. È così che le mie opere nascono, prendono forma e si relazionano con il pubblico, invitandolo a intraprendere un viaggio che va al di là dell'opera stessa, spingendolo verso un viaggio interiore.
Galleria Continua ti ha dedicato una personale nella sede di Pechino, Traces of Wind, una serie di opere di grandi dimensioni su cui soffermarsi e immergersi; come è nato il progetto e quali opere erano presenti in mostra?
La realizzazione di Traces of Wind è stata un'avventura, un viaggio. Ho voluto trasformare lo spazio di Galleria Continua in un'isola, immersa nel cielo stellato e lambita dall'Oceano. Eventi semplici, albe, tramonti, orizzonti infiniti, bunkers, lo scorrere del tempo, una tensione verso l’altro, le tue labbra sono la misura delle cose. Il paesaggio interiore e esteriore diventano uno, il singolo l'unità di misura del paesaggio. Mi hanno sempre incuriosito e di conseguenza ho indagato le tracce effimere della vita, quelle che segnano il nostro passaggio sulla terra. Che si tratti di graffiti che adornano le mura di rovine dimenticate o della fioritura e dell'appassimento dei fiori, queste tracce sono simboli e, in questa tensione, ricordano a tutti la natura preziosa eppure transitoria dell'esistenza. Nell'opera Contando estrellas, ad esempio, la distanza trascende il sentimentalismo effimero e parla del desiderio, della solitudine e della condivisione, le stelle come unità di tempo, come secondi che scandiscono.
Questa mostra è stata quindi concepita come un copro unico, un'isola di luce, ombra e vento. All'interno di questo dispiegarsi di simboli, gli spettatori hanno avuto la possibilità di affrontare il mondo in modo nuovo, sperimentando una solitudine che si sente allo stesso tempo familiare e profonda. L'invito era quello di immergersi completamente nell'opera, lasciandosi trasportare dalle emozioni e dalle riflessioni che essa suscita.
Senza te, senza nord, senza titolo, ultima tua mostra in ordine cronologico alla Manifattura Tabacchi, raccoglie oltre dieci anni di produzione, un dialogo tra luce e buoi, tra opposti che ha caratterizzato l'esposizione. Se dovessi scegliere un opera all'interno di questo viaggio, quale sceglieresti e perchè?
La mia arte si sviluppa attraverso un continuo dialogo tra interno e esterno, interiorità ed esteriorità. Le mie opere riflettono la complessità delle relazioni umane con lo spazio e con se stessi.
Prima di raccontare l'opera Scars - towards ourselves, vorrei dedicare qualche parola al titolo della mostra: Senza te, senza Nord, senza titolo. È un invito ad esplorare il concetto di perdita della coscienza di sé e della propria direzione nella vita. È un viaggio che richiede introspezione e consapevolezza, poiché solo comprendendo la nostra posizione nel mondo possiamo rispondere a quel dovere cha abbiamo verso gli alti, alla società.. "Senza te" non indica la mancanza o l'allontanamento di una persona, ma piuttosto la perdita della consapevolezza di sé. Quando questa viene a mancare, si perde il proprio nord, la propria direzione, e di conseguenza si dissolve l'identità individuale. Le mie opere non sono semplici oggetti, ma entità vive, autonome e interconnesse che dialogano tra di loro. In Manifattura Tabacchi ho creato un ambiente in cui immergersi, entrando in un mio pensiero, dove ogni elemento ha importanza e significato. Ogni graffio di Scars - towards ourselves rappresenta una cicatrice, un segno tangibile del nostro desiderio insaziabile di esplorare e comprendere il mondo che ci circonda. L'opera è un invito al confronto con noi stessi, la nostra esistenza e il nostro ruolo nell'universo, aprendo finestre di pensiero sull'infinito che ci circonda e spingendoci a interrogare costantemente il nostro posto nella vita.
Scars - towards ourselves evoca il concetto di cammino e cicatrice come simbolo di esperienza e crescita. L'interesse per il concetto di Il cammino dell’uomo di Buber suggerisce una connessione con il viaggio interiore e la ricerca di sé stessi. Le cicatrici, viste come segni di sopravvivenza e memoria, rappresentano le prove che ognuno affronta nella propria vita, spingendo a riflettere sulla natura umana e sulla responsabilità di percorrere il proprio cammino, non solo per sé stessi ma anche per il bene comune. Gli esploratori, rappresentano coloro che sfidano l'ignoto e superano le proprie paure, aprendo la strada per gli altri. Ogni linea tracciata rappresenta il viaggio dell'esploratore che si è avventurato verso l'ignoto. Nel corso della storia e in tutte le culture, gli individui hanno desiderato allontanare l'ignoto da sé, intraprendendo viaggi verso l'orizzonte. Ogni viaggio e quindi ogni linea, delineano la mappa dei luoghi esplorati dall’uomo dal 3000 a.C. al 1926. La mappa che emerge è comprensibile per assenza, evidenziando come gli esseri umani si sono mossi sul pianeta per esplorarlo: è la geografia dell’umanità. Se l'ignoto non è più davanti a noi, è perché qualcuno ha affrontato la propria paura personale per renderci visibile ciò che era invisibile. La scelta dell'incisione sull'ardesia, con il suo significato simbolico di cicatrice e memoria sedimentaria, si lega al desiderio umano di lasciare un'impronta sulla terra e di individuare la propria identità. L'assenza della figura umana mette in risalto l'osservatore come protagonista della narrazione. Il colore nero dell'ardesia evoca l'inconscio collettivo e il mare, che rappresenta un'altra forma di viaggio e confronto con le proprie paure. Il desiderio di superare tali paure è visto come motore vitale, mentre la paura è vista come ostacolo alla realizzazione di sé stessi. È per questi motivi che sceglierei Scars - towards ourselves come opera chiave della mostra Senza te, senza Nord, senza titolo; essa rappresenta il simbolo dell’interconnessione umana e dell’importanza di comprendere se stessi prima di guardare al mondo esterno. La responsabilità del singolo verso la società è proprio lo sforzo personale, il conoscersi per condividere le proprie esperienze. È un approccio politico, è la responsabilità tua come singolo, il proprio miglioramento di sè, di interrogarti e crearti opinione o, ancora meglio, nuovi dubbi.
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