Chi sono Valentina Ornaghi e Claudio Prestinari e com'è nato il vostro sodalizio artistico
Lavoriamo insieme dal 2009. Ci siamo conosciuti ai tempi dell’università, Claudio si è specializzato in Architettura del paesaggio, io (Valentina) in Arti visive. E’ durante quel periodo che abbiamo iniziato a condividere pensieri, idee, progetti, spazi; a portare avanti una ricerca comune. Lavorare insieme per noi significa condividere un'esperienza totalizzante. Comporta una grande complicità; condividiamo l'entusiasmo, i successi e le sconfitte.
Le vostre opere nascono da una molteplicità di materiali e tecniche, un incontro, che diventa una composizione figurativa, cosa caratterizza la vostra ricerca? mi parlate del processo che stà alla nascita delle vostre opere?
Tra i temi delle nostre opere ve ne sono alcuni ricorrenti: la leggerezza, la cura, la poesia, una certa ironia, che corrispondono al nostro modo di vedere l’oggi; come il pensiero, rizomatico per sua stessa natura, che si sviluppa attraverso scoperte, interessi, accidenti. Le nostre opere manifestano la relazione dialogica della coppia: sono una terza cosa con una vita propria che non potrebbero esistere se non come frutto di un lavoro di scambio e confronto. Ciascuno di noi guarda l'opera sia come spettatore che come artefice e, nel vedere cosa pensa e cosa percepisce l'altro, l'opera si modifica. Ogni azione non è un'iniziativa univoca ma la risposta alla mossa dell'altro. Il nostro modo di lavorare è basato sulla prosecuzione di discorsi originati da intuizioni. Guardiamo alle cose in cerca di un punto di cedimento, un appiglio di rinnovato stupore, un lampo o bagliore che lasci intravedere un possibile. Tutte queste intuizioni vengono raccolte, archiviate in attesa di verifica. Il tempo, le prove, lo studio e l'approfondimento le affinano, le domande e il dialogo le sviluppano. Alcune sopravvivono, altre si fondono concorrendo l'una a rafforzare l'altra. Per noi la forma è una intuizione che contiene già dei concetti e un potenziale narrativo. Il nostro processo si avvia sempre a partire da un’immagine mentale astratta dalla quale cominciamo a strutturare un dialogo. Spesso la fase di realizzazione dell'opera è sovrapposta alla fase di progettazione. Molte idee nuove nascono mentre si sta fisicamente sviluppando ad altro progetto o mentre si sperimenta con dei materiali o delle lavorazioni. Da cosa nasce cosa come diceva Munari.
Mi raccontate come nasce l'opera Tango? Trovo l'opera molto intima quanto fragile e molto semplificativa del vostro lavoro.
In Tango (2015) due spazzolini da denti sono attorcigliati con le setole l’una nell’altra e in un bicchiere, posti sul ciglio di una mensola, come su un trampolino prima del salto. L'opera è successiva all’omonima del 2013 dove al fine di mostrare lo sforzo necessario per preservare un momento intimo, due spazzolini erano bloccati insieme in un bicchiere di acqua ghiacciata. L’intuizione alla base del lavoro è la stessa ma in questo nuovo lavoro è il calore, usato per ammorbidire la plastica, a permettere ai due spazzolini di stare abbracciati.
La mostra Tre vani raccoglie una serie di vostre opere dall'estetica essenziale; il punto di partenza è lo scarto, cosa ha caratterizzato questo ciclo di lavori?
Dal sopralluogo nell'azienda che si occupa di semilavorati in pietra con cui abbiamo collaborato, è emersa una riflessione rispetto alle dinamiche produttive che si basa sullo scarto, sul presunto “difetto” che l’immagine ideale del marmo provoca nel committente, il quale vede il materiale in questione con “occhi industriali”, ignorando la sua derivazione naturale che impedisce al materiale stesso di sottostare alle regole della perfezione formale. Nel titolo della mostra la parola vani è intesa come concetto di spazio e di vuoto – vi sono, quindi, opere che hanno un riferimento diretto sia all’abitare in senso architettonico attuale e al design, sia al legame primordiale che l’uomo ha con la grotta intesa come casa, ma che indagano anche il concetto di vuoto e di spazio immaginari. Il carattere che si ripete in ogni opera è l’unione di tre elementi: il pezzo finito che richiama il mondo del design, l’immagine – mai fotografica ma sotto forma di render come collegamento a qualcosa che nasce nella mente e che mima la realtà – e infine il materiale grezzo, come ad esempio la pietra lavica, solitamente non destinata alla produzione, o materiali come resine che vengono usate per rimediare i “difetti” dei marmi in questione. I due mondi della materia e del digitale di fatto creano quasi un paradosso, un cortocircuito. Da una parte, ciò che genera gli scarti del materiale è il fatto che c’è una rincorsa alla perfezione della lavorazione che è legata al concetto di bellezza pura. E la bellezza pura rimanda al mondo virtuale. Dall’altra, l’aspetto più manuale del nostro lavoro emerge nel render perché il render mostra delle nostre sculture in plastilina di cui abbiamo fatto una scansione 3d a cui poi, con un software, abbiamo attribuito le texture e le superfici.
Sbilenco è stata la vostra personale presso Galleria Continua, come nasce il progetto e come ha preso forma nello spazio di San Gimignano?
Il progetto concepito per lo spazio del teatro a San Gimignano ruotava intorno al concetto di sbilenco come irregolarità ironica nella vita quotidiana, un difetto che sabota la normalità, aprendo scenari surreali. Sbilenco si riferiva anche all’instabilità della serie di piccole sculture appoggiate su una struttura in equilibrio precario tra palco e platea. Nella mostra abbiamo lavorato sul tramutare gli oggetti e gli arredi in soggetti capaci di evocare nello spettatore gli echi di una relazione. Sentimentali e ironiche come personaggi di un romanzo, o di un pezzo teatrale, abbiamo articolato mini-narrazioni. Così, il letto nell’opera Bedroom si trasformava in un letto fuori norma, ispirato al racconto di Italo Calvino “Avventura di due sposi (Gli amori difficili)”, una coppia che non riesce a incontrarsi perché i rispettivi turni di lavoro non coincidono realizzando come distanza e prossimità possano coesistere nello spazio comune.
Dal sopralluogo nell'azienda che si occupa di semilavorati in pietra con cui abbiamo collaborato, è emersa una riflessione rispetto alle dinamiche produttive che si basa sullo scarto, sul presunto “difetto” che l’immagine ideale del marmo provoca nel committente, il quale vede il materiale in questione con “occhi industriali”, ignorando la sua derivazione naturale che impedisce al materiale stesso di sottostare alle regole della perfezione formale. Nel titolo della mostra la parola vani è intesa come concetto di spazio e di vuoto – vi sono, quindi, opere che hanno un riferimento diretto sia all’abitare in senso architettonico attuale e al design, sia al legame primordiale che l’uomo ha con la grotta intesa come casa, ma che indagano anche il concetto di vuoto e di spazio immaginari. Il carattere che si ripete in ogni opera è l’unione di tre elementi: il pezzo finito che richiama il mondo del design, l’immagine – mai fotografica ma sotto forma di render come collegamento a qualcosa che nasce nella mente e che mima la realtà – e infine il materiale grezzo, come ad esempio la pietra lavica, solitamente non destinata alla produzione, o materiali come resine che vengono usate per rimediare i “difetti” dei marmi in questione. I due mondi della materia e del digitale di fatto creano quasi un paradosso, un cortocircuito. Da una parte, ciò che genera gli scarti del materiale è il fatto che c’è una rincorsa alla perfezione della lavorazione che è legata al concetto di bellezza pura. E la bellezza pura rimanda al mondo virtuale. Dall’altra, l’aspetto più manuale del nostro lavoro emerge nel render perché il render mostra delle nostre sculture in plastilina di cui abbiamo fatto una scansione 3d a cui poi, con un software, abbiamo attribuito le texture e le superfici.
Sbilenco è stata la vostra personale presso Galleria Continua, come nasce il progetto e come ha preso forma nello spazio di San Gimignano?
Il progetto concepito per lo spazio del teatro a San Gimignano ruotava intorno al concetto di sbilenco come irregolarità ironica nella vita quotidiana, un difetto che sabota la normalità, aprendo scenari surreali. Sbilenco si riferiva anche all’instabilità della serie di piccole sculture appoggiate su una struttura in equilibrio precario tra palco e platea. Nella mostra abbiamo lavorato sul tramutare gli oggetti e gli arredi in soggetti capaci di evocare nello spettatore gli echi di una relazione. Sentimentali e ironiche come personaggi di un romanzo, o di un pezzo teatrale, abbiamo articolato mini-narrazioni. Così, il letto nell’opera Bedroom si trasformava in un letto fuori norma, ispirato al racconto di Italo Calvino “Avventura di due sposi (Gli amori difficili)”, una coppia che non riesce a incontrarsi perché i rispettivi turni di lavoro non coincidono realizzando come distanza e prossimità possano coesistere nello spazio comune.
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