sabato 21 settembre 2024

Interview with Ruth Beraha



Ruth Beraha, classe 1986, vive a Milano. E- un'artista multidisciplinare che esplora la rottura delle certezze su cui fondiamo la nostra comprensione del mondo, basando la sua ricerca sull-indagine del potere dell'immaginazione, andando oltre gli automatismi della percezione e del visibile. Di seguito l-intervista con l'artista sui suoi ultimi progetti. 

Chi è Ruth Beraha e qual’è il tuo percorso artistico?
Dopo la laurea in Storia dell'Arte in all'Università Statale di Milano e lo studio della tecnica della pittura a olio nella bottega di un pittore, ho trascorso un anno all'estero prima di tornare a Milano e laurearmi al Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali, in Naba, durante il quale ho avuto modo di lavorare con Chiara Fumai per Documenta 13. Per qualche anno ho lavorato nel settore della produzione video, prima di potermi dedicare all'arte. Il mio percorso professionale è iniziato nel 2017, quando mi sono trasferita a Venezia per lavorare prima con Giorgio Andreotta Calò, poi con Roberto Cuoghi. Contemporaneamente ero in residenza alla Bevilacqua La Masa. Dopo il periodo veneziano ho partecipato a diverse mostre e io ho iniziato a collaborare con la galleria Ncontemporary di Milano, che mi rappresenta ancora oggi. 

La tua ricerca artistica indaga l’immaginazione al di là degli automatismi della percezione e della visione, una rottura su ciò che diamo per assodato. Mi parli del tuo processo e dei temi che affronti per farvi forma?
Direi che il mio lavoro indaga la vulnerabilità e la violenza delle relazioni, la percezione del sé e dell'altro in senso ampio, quindi certo, cerco di capire anche quello che crediamo di sapere di noi e di ciò che ci circonda. Quando inizio un nuovo lavoro di solito succede che qualcosa nella dimensione reale risuona con un pensiero e un'urgenza di quelli che mi accompagnano sempre.  In fondo il lavoro è sempre un autoritratto, provo a tirare fuori i miei pregiudizi e le mie paure, le fragilità e le violenze.

 

Il suono è presente nelle tue opere, da R.U.? (self-portrait) a I see you, come nasce questa esigenza e come si coniuga alla parte scultorea dei tuoi progetti?
L'assenza di immagini mi interessa per lo spazio che lascia a ciò che può essere immaginato, al non detto, al potenziale. Per me il visivo e il sonoro sono due parti essenziali della stessa cosa, è sempre immagine, sia in presenza sia in assenza. L'utilizzo di entrambe le dimensioni riguarda la voglia di essere vista e la paura di essere guardata.

Us (self-portrait) è un opera composta da un acquario al cui interno si trovano 32 piranha, cosa rappresenta il lavoro? 
I piranha sono dei pesci che, grazie soprattutto a una serie di film usciti a partire dagli anni '70, nel nostro immaginario sono animali pericolosi e ferocissimi, mentre il lavoro li mostra come pesciolini innocui. La scultura di terracotta presente nell'acquario rappresenta un passamontagna, un volto coperto, che nell'immaginario collettivo nasconde intenzioni violente ma può anche essere utile per proteggersi. 

Mi racconti come nasce il progetto Fortune’s always hiding, I’ve looked everywhere e Il cielo è dei violenti?
Sono i due lavori che ho presentato alla Biennale Gherdeina, appena conclusa. Ho iniziato lavorando su Il cielo è dei violenti, un lavoro audio che era in mostra in un teatro dismesso, quasi completamente buio. Nello spazio vuoto il suono del canto di un uccellino si sentiva provenire da punto, poi da un altro punto un secondo uccello si sommava al primo. Poi un terzo canto proveniva da un altro punto ancora e così via, fino all'apice, qualche minuto dopo, in cui il frastuono di uccelli e battiti di ali e il rombo del vento raggiungeva il suo massimo, per poi scemare fino a tornare all'inizio del loop. Era importante che il lavoro venisse messo in mostra in un luogo artificiale, meglio ancora un luogo di produzione culturale.
Il pensiero iniziale è nato a New York, passavo spesso a Central Park e guardavo e ascoltavo le centinaia di uccelli che lo abitano. Mi interessava lavorare sull'idea che abbiamo della natura, in questo caso poi, dopo l'invito a lavorare in Val Gardena, ho pensato ai suoni che sentiamo in montagna. E poi ho pensato un po' a Hitchcock. Ho fatto molta ricerca grazie alla consulenza di un ornitologo di Ortisei sugli uccelli che abitano e attraversano la Val Gardena, e poi ho lavorato con un compositore e un ingegnere e insieme abbiamo creato il lavoro spazializzandolo nel teatro. Dopo mesi che lavoravo su questo avevo in testa un sacco di uccelli diversi e mi sono immaginata delle piccole sculture che rappresentassero degli uccelli piantati nel muro, senza testa, come se la testa guardasse un altrove, un oltre, non accessibile a chi osservava. Così è nato Fortune's always hiding, I've looked everywhere.

 

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